Saskia Sassen, a proposito delle città globali, evocava nel 1997 una metafora per la nuova società che andava consolidandosi in quegli anni di pieno sviluppo della globalizzazione, guidata da forze di Sinistra illuse di poter controllare il mercato: la società a clessidra.
Nella parte alta ci sono sempre meno granelli, ma chi ha la fortuna di nascerci, ha una posizione di dominio assicurato; nella parte bassa invece ci sono sempre più granelli e chi ha la sfortuna di cadervi dalla parte alta o di trovarcisi alla nascita, è praticamente impossibile che riesca a trovare qualche “ascensore sociale” che gli permetta di migliorare le proprie condizioni di vita. E tutto ciò a causa della “strozzatura” tra le due metà.
Ebbene, in questa società a clessidra, le logiche di potere delineate da Michel Foucalt assumono una nuova e “sinistra” luce: sì, perché mentre prima la Sinistra si batteva per rovesciare “il fortuito gioco del dominio” e per combattere quest’idea di società con la retorica dell’eguaglianza e della solidarietà, ora la Sinistra si è perfettamente adattata alle logiche di dominio e non fa nulla per combatterle. Motivo per cui, in un tempo di crisi del capitalismo mondiale, dove le Sinistre dovrebbero vincere in tutta Europa, non solo non vincono (e se vincono, si spostano inevitabilmente a Destra, come diceva Gaber), ma addirittura assistono impotenti alla rinascita di movimenti nazisti in tutta Europa.
Ma la cosa più grave è un’altra: l’interiorizzazione delle logiche del dominio da parte degli Altri, ovvero degli emarginati, degli esclusi. Se si trovano nella propria condizione, non è colpa della società, ma è colpa loro: si sono trasformati i fallimenti della società in fallimenti dell’individuo, con l’unica conseguenza che si tenta di rispondere a fenomeni sociali con soluzioni individuali. E il gioco, ovviamente, non funziona.
Così, mentre l’intellighenzia di Sinistra se la prende con Chiara Di Domenico (qualche nome? Lucia Annunziata, Luca Sofri, Fabrizio Rondolino, Gianni Riotta), rea di aver sollevato il caso della figlia di Ichino assunta a tempo indeterminato a 23 anni alla Mondadori, di cui il padre era ed è un autore di punta, gli Altri non stanno con la propria coetanea che ha avuto il coraggio di “rovesciare le logiche di dominio”, ma le vanno contro. E questa è la cosa più triste.
Lei, che ha osato andare contro lo status quo, viene dileggiata come “la precaria inetta che diffama la ragazza brava ma di buona famiglia – una colpa, come la ricchezza“. E il bello è che questi Soloni della meritocrazia (che è il dominio del Merito, usato come strumento di selezione della classe dirigente, cosa ben diversa dalla “meritonomia“, ovvero la regola del merito) parlano da posizioni di privilegio, precluse alla quasi totalità degli Altri.
I giovani sono “choosy“, hanno l’obbligo di essere flessibili, se falliscono è colpa loro e solo loro: eppure, dalla Fornero in giù, i teorici dell’uomo flessibile (si leggano a tal proposito Beck e Bauman) si preoccupano anzitutto di garantire ai propri figli le stesse “solide” posizioni di potere occupate dai padri, nel completo spregio e disprezzo del vero merito e dei più basilari principi fondanti della Sinistra: il libero accesso di tutti e tutte a quello che vogliono fare e vogliono essere nella propria vita.
L’abbraccio di Bersani a Chiara, alla fine del suo intervento, (che i maligni sostengono fosse studiato) rischia di essere invece l’unica cosa di Sinistra di questa triste e deludente campagna elettorale.
Bruno Concas, #leggeremeglio, nessuno ha scritto che la figlia di Ichino ha 23 anni, ma che è stata assunta in Mondadori a tempo indeterminato a 23 anni.
vabbe’ si e’ sbagliata sull eta’ ma il concetto e’ giusto!!!
Perdonatemi, il mio commento che non vedo più, non si riferiva alla vostra pagina ma alla totale disinformazione su questo caso. Non sono per niente un pro ichino ma penso che si debba approfondire la vicenda. Vi posto ciò che scrive Giulia ichino.Mia breve storia lavorativa, non perché pensi che possa appassionare qualcuno ma giusto per fare chiarezza:
Sono nata nell’aprile del 1978, quindi di anni oggi ne ho quasi 35.
Quando ne avevo 21, all’inizio del 2000, ho inviato il mio curriculum in Mondadori, mi hanno fatto fare una prova di correzione di bozze da casa. Ho lavorato come esterna, in ritenuta d’acconto, per un anno e nel 2001 mi è stato proposto di fare la sostituzione di una redattrice nel periodo del suo congedo di maternità: è stato allora che ho iniziato ad andare quotidianamente a Segrate, ed è stato un anno di lavoro con un contratto da co.co.co.
Al termine di quell’anno, anche a seguito del pensionamento di una collega che aveva improvvisamente lasciato scoperto un posto, mi è stata proposta l’assunzione: era il 2002 e mi è sembrata una proposta da accettare al volo. Avevo un inquadramento da impiegata, ho fatto la redattrice a lungo, poi sono diventata capo redattore di una collana e solo dopo qualche anno mi hanno proposto di fare la “junior editor” di Antonio Franchini. Dall’ottobre 2010 sono editor senior della narrativa italiana.
Sono fiera di aver fatto tutta la “gavetta” redazionale perché l’importanza della cura del testo, anche nei suoi aspetti più minuti, è uno dei cardini dell’editoria di qualità. Sotto la guida di Renata Colorni, Elisabetta Risari e Antonio Franchini, oltre che di tanti altri colleghi, ho imparato moltissimo prima di poter muovere, in anni più recenti, i primi passi autonomi nel lavoro di scelta e di publishing dei libri.
Ho lavorato al fianco di decine di scrittori, da Giuseppe Pontiggia e Carlo Fruttero a Margaret Mazzantini, Andrea Camilleri, Roberto Saviano, Francesco Guccini, Niccolò Ammaniti, Alessandro Piperno, Carmine Abate, Mauro Corona, Antonio Pennacchi, Chiara Gamberale, Daria Bignardi, Valerio Massimo Manfredi, Mario Desiati, Pietrangelo Buttafuoco, Paola Calvetti, Giuseppina Torregrossa, Fabio Genovesi e tanti tanti altri.
So bene di essere molto fortunata, e che la mia è una storia eccezionalmente felice per la generazione a cui appartengo. Ma se avessi voluto avere un percorso professionale agevolato da mio padre avrei studiato legge, e invece ho scelto un settore completamente diverso da quello in cui lui opera da sempre.
La mia è una storia positiva, che testimonia che qualche volta accade perfino nel nostro Paese che il merito e i giovani vengano valorizzati.
Spero che tutti noi italiani abbiamo l’intelligenza, il coraggio e lo slancio necessari a cambiare nel profondo il nostro mercato del lavoro, per redistribuire tra tutti i diritti e le tutele e porre fine al gravissimo, intollerabile apartheid che priva ogni giorno di dignità tanti lavoratori e famiglie.
Mi scaglierò anch’io contro i raccomandati quando incontrerò qualcuno che pur avendo avuto la possibilità di un posto grazie ad una raccomandazione, vi ha rinunciato.
un privato assume chi vuole, non amo ichino, ma non capisco la polemica; diverso sarebbe se si parlasse di favori o aiuti in concorsi pubblici; mi sembra un attacco elettorale da parte di chi ha votato la riforma fornero ed ha ribadito che va bene così..