C’era una volta Roma Ladrona. Poi arrivò Belsito e si scoprì che non era solo sotto il Colosseo che si rubava. In principio fu “prima il Nord”. Ma un giorno venne Salvini e trasformò il motto nordista in un patriottico “prima gli italiani”. Interessante la metamorfosi della Lega Nord, che pare aver ritrovato smalto grazie al suo segretario giovane, brillante e molto macho. Contesta Renzi, ma ha avviato nel suo partito una rottamazione becera. I vecchi slogan nordisti non funzionano più? Inventiamoci una formula diversa e ugualmente stomachevole: una soluzione di nazionalismo, antieuropeismo, populismo e un tocco di sano narcisismo che non guasta mai.
L’altro Matteo, il padano che ha fulminato la Le Pen: se questo è l’inizio, tra vent’anni Salvini avrà più soprannomi di Apollo Creed. Del resto è parte della sua strategia mediatica basata sull’invasione dei salotti, con entrate a gamba tesa e voce grossa, a sputare fuoco contro l’altra “invasione”, quella dei disperati che rischiano la pelle per un po’ di sicurezza. Recita la parte del duro e puro, ma il suo palese obiettivo è diventare il capo inconstrastato dell’antirenzismo, raccogliendo il maggior numero di voti possibile.
Nella media dei sondaggi delle ultime settimane, i leghisti si assestano al 10-11%. Una percentuale inimmaginabile appena qualche tempo fa, riguardo alla quale tutti hanno delle precise responsabilità. Renzi, che non ha la forza (o il peso politico) di essere autorevole in Europa. Grillo, che in un anno è passato da “Siete tutti morti!” a “Vinciamo poi”. Il centrodestra, diviso tra schiavi di Berlusconi e trasformisti cronici. Infine la sinistra, che non è riuscita a rendersi voce della protesta contro il sistema e ha lasciato gli scontenti in balia del qualunquismo salvinista.
E questo preoccupa, perché almeno nel M5S convivono tutt’oggi anime provenienti da ambienti diversi dalla destra (anche se in Europa i grillini si alleano con Farage senza battere ciglio): invece la nuova Lega ingloba tutto in un calderone estremista votato allo sfascio. Contro l’Europa, gli zingari, gli immigrati, il governo e le istituzioni. Dall’altro lato c’è la redenzione sui meridionali, cinque anni dopo il coro sui napoletani a Pontida (e da siciliano ti dirò, Matteo: la tua solidarietà mi fa ribrezzo). C’è il progetto dell’espansione al centro e al sud verso un partito in stile Front National, un po’ di tempo dopo le magliette “Padania is not Italy”. Insomma, c’è tutto e il suo contrario.
Ma importa davvero a qualcuno? No, a quanto pare. Meglio sfogare l’insoddisfazione contro i capri espiatori di turno. Ieri erano gli ebrei e i comunisti, oggi i rom e i marocchini. Tutto regolare. Come sempre si aizzano i poveri contro i poveri, per frammentare la società e permettere ai populisti di aumentare i consensi, tenendo i cittadini nell’ignoranza e godendo di ogni disastro, dato che questo servirà a fortificare la loro posizione. Noi non possiamo accettare tutto questo, perché ciò che dobbiamo fare è esattamente opposto.
Non serve a nulla cacciare gli immigrati, vittime tanto quanto noi dello stesso capitalismo brutale. È la voglia di rivoluzione che deve unirci. Bisogna lottare contro le grandi banche, i potentati economici, la corruzione e lo sfruttamento. I nostri alleati devono essere i politici onesti (ci sono, vi dico, e non sono pochi. Solo che non fanno rumore come i loro colleghi incompetenti), i lavoratori, i giovani e quella grande maggioranza silenziosa di cittadini che giorno dopo giorno svolgono il proprio compito con umiltà e trasparenza.
“Sarà una bella società / fondata sulla libertà” cantavano i Rokes negli anni Sessanta. E anche sull’eguaglianza, sulla giustizia e sulla pace per tutti, aggiungiamo noi. Ma dobbiamo darci da fare, o quando ci accorgeremo di aver sprecato un’enorme opportunità sarà già troppo tardi. E lì saranno dolori.