La conferma della condanna definitiva a Totò Cuffaro arrivata ieri in Cassazione ha avuto un duplice effetto. Nel momento in cui l’ex governatore della Regione Sicilia ha appreso la notizia, dopo un via vai di parenti ed amici arrivati alla sua casa di Roma per dargli conforto, si è andato a costituire al carcere di Rebibbia.
La riflessione che viene spontanea apprendendo una notizia del genere è quantomeno immediata, considerando i tempi che corrono. E’ già di per sé clamoroso apprendere una notizia come questa, cioè di una condanna realmente definitiva, che arriva nel paese dell’impunità per antonomasia. E, per giunta, nei confronti di un “protetto” del governo, nonchè detentore di un seggio a Palazzo Madama da cui appoggiava l’esecutivo. Ha quasi il valore di una notizia da edizione straordinaria. Un politico che sbaglia condannato in Cassazione al carcere. Ultimamente, bisogna dire, non ci hanno abituato a notizie come queste. La norma, in un paese come l’Italia, è pensare all’equazione: sei un pezzo grosso della politica + sei indagato = proscioglimento scontato. Chi, leggendo qualsiasi articolo che informa sull’inizio di un processo a personaggi di un certo livello nel panorama politico o imprenditoriale (insomma, persone con un indubbio potere economico) ha mai pensato: molto bene, ora lo mettono in carcere? Forse in pochi, probabilmente più propensi alla speranza che al realismo. Il paese a cui ci ha abituato il nostro premier non rappresenta uno stato democratico, sottoposto all’obbligo del “chi sbaglia, paga”, bensì è stato trasformato in un improbabile luogo del “chi sbaglia se la cava, sempre che possa permetterselo”. E’ diventato un paese dove risulta ormai più grave farsi uno spinello in un parchetto che evadere le tasse. Sicuramente, nel secondo caso, si hanno molti meno rischi di morire in carcere.
Un personaggio come Totò Cuffaro condannato a 7 anni di detenzione lancia un segnale di speranza in un’ Italia lasciata alla mercé della politica, dove la magistratura è ogni giorno più screditata, come chiunque osi alzare la testa contro qualsiasi abuso al cittadino. Come diceva ieri Roberto Saviano, in occasione della Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza conseguita all’Università di Genova, si è creata, in questo paese, una situazione di repressione latente del pensiero e dell’opinione, che impedisce a qualsiasi cittadino di andare contro al governo, consapevole della subitanea ritorsione dei media e dei poteri forti contro le sue opinioni. In questo modo si stroncano sul nascere moti di protesta e si riduce tacitamente il dissenso al governo.
C’è anche chi ha già annunciato l’inizio di una nuova tangentopoli, che potrebbe riportare un barlume di giustizia anche nel paese degli imputati in Parlamento e degli impuniti, lanciando segnali quali la condanna a Cuffaro e il cerchio sempre più stretto attorno al premier Silvio Berlusconi, che sta pagando in un breve periodo la sua decennale condotta, per usare un eufemismo, discutibile.
Continuando un discorso di paragone fra l’ex governatore Cuffaro e il Presidente del Consiglio, hanno fatto riflettere anche le parole dette ai microfoni dei giornalisti arrivati davanti al carcere proprio dallo stesso Cuffaro, che si è espresso così:
«Sono stato chiamato a sopportare una prova, certamente non facile, che ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e soprattutto ha rafforzato la mia fede. […] Adesso affronterò la pena come è giusto che sia, un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli. Sono stato un uomo delle istituzioni e ho un grande rispetto della magistratura».
Frasi di questo tipo non sono più abituali di questi tempi, proprio per quel discorso di clima da illegalità e di lotta fra i poteri dello Stato inaugurato da Berlusconi. È di per sé scioccante che frasi come quelle pronunciate da Cuffaro risultino anomale rispetto a quanto ci siamo abituati a sentire. In realtà dovrebbero essere queste le parole più sensate da dire in occasione di una condanna giunta a termine di un regolare processo. Invece di gridare al complotto e denigrare il lavoro dei giudici “di sinistra”. Il riconoscimento e il rispetto delle istituzioni potrebbe essere il primo passo per placare e abbassare i toni di un’intolleranza politica che, da un po’ di anni a questa parte, ha reso impossibile qualsiasi forma di dialogo civile.
per me Cuffaro ha detto cose sacrosante. Farà la stesso dell’Utri? Oppure B.? Non credo si daranno latitanti, magari in Libia dal suo amico.