Siamo reduci da settimane cruciali per la difesa dei diritti delle donne. La manifestazione del 13 febbrario (“Se non ora, quando?”) ha segnato solo il culmine di questo nuovo protagonismo femminile che lotta contro il sultanato, che si oppone allo svilimento a reti unificate del corpo, che pretende diritti e dignità per l’ “altra metà del cielo”.
Tutto questo accade nell’Italia di Sergio Marchionne e del suo strascico ideologico: la produttività come unico paradigma di sviluppo. In paesi un po’ più civili come la Germania il primo ministro Angela Merkel, una donna non a caso, ha invece lanciato a sindacati e aziende una tra le sfide principali del nostro tempo: la conciliazione del lavoro con il tempo per le cure e l’affettività familiare.
Secondo molti studi una buona conciliazione tra attività lavorativa e familiare garantirebbe migliori “performance” anche sulla prima. Ma al di là dei benefici a livello di produttività la proposta del cancelliere tedesco segnala la volontà politica di sfigurare il volto di quel capitalismo disumano e disumanizzante che nelle persone vede solo braccia o, tutto al più, corpi da possedere.
Merkel sembra invece voler seguire l’esempio di paesi con una forte tradizione socialdemocratica come la Svezia, paesi che hanno fatto della parità tra i sessi e del benessere non meramente economico il proprio vanto.
E se in Germania la Presidentessa si occupa di tutelare paternità e maternità, nel dibattito pubblico italiano la parola “donna” viene associata a prostitute minorenni, e la parola “padre” ad un genitore che per telefono invita la figlia “a darsi più da fare” con il potente di turno.
E’ squallido solo scriverlo; ma fino a quando non prenderemo tutti consapevolezza che il cambiamento passa per la riappropriazione dei corpi bisognerà continuare testimoniare, a raccontare, a urlare in piazza la nostra indignazione.
Non è una questione né di genere né partitica, quella sul corpo è una partita politica nel senso alto del termine: c’è in gioco la dignità di tutte e di tutti.
Nello stesso Paese in cui i potenti possono servirsi a proprio piacimento dei corpi delle “vergini che si offrono al drago”, la gente non può decidere di morire in dignità, di amare chi vuole a prescindere dell’orientamento sessuale, di prostituirsi pagando le tasse. Vogliono decidere dei nostri corpi, vogliono poterli sfruttare come meglio credono.
Credo che per scardinare questo blocco reazionario e far sì che ad esempio le donne abbiano realmente pari opportunità siano necessarie alcune forzature, come le “quote rosa”. Ma fino a che la classe dirigente sarà questa non è possibile immaginare un Italia di persone veramente uguali, come sancisce l’articolo 3 della nostra Costituzione. E’necessario prima liberarci, in una sorte di parricidio metaforico, dal cappio dell’Imperatore. Solo allora, finalmente liberi, poteremmo avere una donna Presidente, magari pure lesbica.