Sono passati dieci anni dalla morte di Carlo Giuliani: avevo 9 anni, ma ricordo in modo vivido quello sparo, quelle urla disperate, quello corpo esanime steso a terra.
Non voglio parlare ancora di quella tragedia, ricostruirne le dinamiche, assegnare le colpe: sono già state sprecate troppe parole, e un ragazzo strappato così presto dalla vita merita più rispetto, più silenzio. Credo però che da Genova la Sinistra debba ripartire per interrogarsi sui propri errori, sulle proprie analisi sbagliate, a partire da quella sulla globalizzazione.
Sia chiaro, le battaglie del variegato movimento che si richiama all’utopia di ” un altro mondo è possibile” erano, sono e saranno giuste, sacrosante, commoventi per il loro idealismo. La lotta per per i diritti delle popolazioni del Terzo Mondo, la creazione di un sistema economico compatibile con l’ecosistema, la libertà di circolazione sulla superficie terrestre, sono infatti le battaglie decisive che come fronte progressita dobbiamo sostenere su scala planetaria. L’errore è stato piuttosto di matrice linguistica: è stato definire la piattaforma programmatica “no global”.
Non si è cioè capito che la globalizzazione è forma e non contenuto.
Non dobbiamo opporci al corso progressivo della storia, l’interdipendenza globale, ma piuttosto riempirlo di contenuti di Sinistra.
Del resto se la Sinistra non è internazionalista non è Sinistra.
A maggior ragione se per la prima volta nella storia dell’Umanità abbiamo l’opportunità di universalizzare i nostri ideali: libertà (prima di tutto dal bisogno), democrazia partecipata, rispetto per ogni essere umano, (donna , uomo, trans, bianco, nero che sia).
Il nuovo millennio ci chiama con forza a mobilitarci per una diversa globalizzazione: crechiamo di mostrarci all’altezza della sfida, con coraggio, passione, speranza: con la testa e con il cuore.