“Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.”
Con questa lettera, il 10 gennaio 1991, l’imprenditore siciliano Libero Grassi denunciò, sulla prima pagina del Giornale di Sicilia, i suoi ricattatori. Fu l’inizio della lotta contro il “pizzo”, infatti, mai nessuno prima di allora aveva mostrato tanto coraggio. Questa scelta decretò la sua condanna a morte, ma il suo gesto divenne uno straordinario esempio di chiara ribellione verso il racket.
Esempio seguito da Mimmo Costanzo, imprenditore edile di origine catanese che, nei giorni scorsi, ha denunciato i vari tentativi di estorsione ai danni della sua impresa che opera in Calabria. Esponenti della ‘ndrangheta hanno tentato di estorcere 60 mila euro alla sua azienda Cogip, impegnata nell’ammodernamento della statale 106 nel tratto che va da Reggio a Melito Porto Salvo. E’ chiaro che l’obiettivo degli estorsori andava oltre al semplice accaparramento di denaro, bensì miravano ad impadronirsi dell’appalto ottenuto da un’azienda pulita. La denuncia dell’imprenditore Costanzo ha permesso, alle istituzioni, di mettere in atto l’operazione che ha portato al fermo di sei presunti affiliati alla cosca criminale calabrese e al sequestro di terreni, società, appartamenti, conti correnti bancari, polizze assicurative e altri prodotti finanziari, per un totale che supera i 20 milioni di euro.
In Italia, il sistema del racket è un business che raggiunge i 5 miliardi di euro l’anno, di cui 1 miliardo nella sola regione Campania. Ercolano, città in provincia di Napoli, è stata negli ultimi anni uno dei principali centri di potere della camorra. Oggi, oltre 80 coraggiosi commercianti ercolanesi hanno deciso di ribellarsi al pizzo e, grazie alle loro denunce, i camorristi dovranno affrontare un processo di portata storica. E se prima, quasi tutti i negozianti pagavano il pizzo, oggi parliamo di un numero molto più basso.
Se la battaglia di un singolo uomo ottiene riscontri positivi, con Ercolano abbiamo la dimostrazione che si può ottenere di più, che l’unione di più uomini può portare ad una società in cui vige la legalità e si ha il coraggio di dire “NO” alla mafia.
E’ proprio il caso di dire che l’unione fa la forza.