La bagarre di questi giorni sulla modifica della legge elettorale è sintomo di una tendenza, tutta italiana, di cambiare le regole del gioco a proprio favore e non per l’interesse della collettività. Una visione egocentrica della nostra politica che porta i grandi partiti a puntare su modelli maggioritari e quelli piccoli a reclamare modelli proporzionali. Sarà stata la troppa fiducia riposta dai nostri Padri Costituenti verso i loro successori, ma sicuramente se ci fosse stato il sistema elettorale all’interno della Costituzione ci saremmo evitati a fine di ogni legislatura i tentativi, a volte falliti a volte riusciti, di cambiare le regole del gioco appena prima dell’entrata in campo: le famose leggi porcate, vaccate o in qualsiasi altro modo le si voglia chiamare.
Con questa visione della politica non sorprende che oggi ci siamo ritrovati con una legge a liste bloccate, che in fondo fa comodo ai più. Sorprende invece che i partiti strillino contro l’antipolitica: se i tre istituti di democrazia diretta (referendum, preferenze, leggi popolari) vengono cancellati o ignorati e se la democrazia all’interno dei partiti di fatto non c’è, anche se garantita dalla Costituzione, è naturale che il dissenso si organizza trovando altri sbocchi.
L’esigenza indiscutibile di reintrodurre le preferenze dovrebbe essere affrontata nella sua completezza, perchè uno strumento utilizzato poco e utilizzato male anche se necessario può fare danni. L’esempio ci viene fornito dalle elezioni locali dove la preferenza è vigente ma, visto che solo una minoranza degli elettori indica il suo candidato, piccoli pacchetti di voto della criminalità organizzata permettono il massimo risultato, influenzando non poco le amministrazioni comunali. A Milano, per esempio, solo il 30% dei votanti nelle scorse amministrative ha indicato un candidato. Raddoppiare le preferenze espresse dalla cittadinanza significherebbe diluire e quindi dimezzare l’efficacia del pacchetto di voto in dotazione delle mafie riducendo proporzionalmente i suoi uomini dentro le istituzioni.
Una soluzione possibile è il modello giapponese. Dove i 2/3 della camera dei deputati viene eletta in circoscrizioni uninominali. All’elettore viene fornito una scheda bianca senza alcuna indicazione e l’elettore deve mettere solo il nome del candidato. Rendendo di fatto la preferenza obbligatoria. Il restante 1/3 della camera dei deputati viene nominata dal partito tramite lista bloccata come avviene in Italia, in proporzione dei voti ricevuti da una seconda scheda anch’essa bianca dove va scritta la sigla o il nome della lista. Quindi un paracadute per gli intoccabili ci sarebbe ancora, ma passare da un sistema di lista completamente bloccata a un sistema uninominale puro è obiettivamente inverosimile, e questa potrebbe essere una buona mediazione.
Un sistema, quello giapponese, che limiterebbe anche la piaga dell’influenza mediatica. Anche questa è un’anomalia del tutto italiana, ovvero l’incapacità (o la complicità) del centrosinistra nel non risolvere il problema del conflitto d’interesse tra TV e politica. In un paese dove la maggioranza dei votanti ha al massimo la licenza media e con un’altissima percentuale di persone che non vanno a votare, il bombardamento mediatico esercitato dalle tv nelle ultime settimane prima del voto soprattutto tramite il simbolo e il nome del partito sarebbe ridotto. Si favorirebbe così il voto consapevole, l’elettore dovrà cercare i nomi dei candidati del proprio collegio valutandoli, senza lasciare delega in bianco al simbolo di un partito con dentro il nome del leader carismatico. Cominceremmo a vedere volti nuove nei vari talk-show e non le solite quattro facce. Sarebbe ridotto il voto a comando o a telecomando.
Il Giapponese è salutare, all’inizio può esserci un po’ di diffidenza, ma una volta che s’impara ad usare le bacchette può anche piacere.