“A seguito del calo di ordinativi che ha segnato un esercizio 2011 drammaticamente negativo, con perdite patrimoniali che impongono un riassetto organizzativo, attuato per una più economica gestione dell’azienda, volta a fronteggiare tale situazione sfavorevole non contingente, che influisce in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo una effettiva necessità di riduzione dei costi, siamo a comunicarle la dismissione del reparto dove Lei è attualmente occupata.
Di conseguenza, la Sua attività lavorativa non può più essere proficuamente utilizzata dall’azienda.
Rilevato che non è possibile reperire all’interno dell’azienda altra posizione lavorativa ove collocarla, siamo pertanto costretti a licenziarla per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 15 luglio 1966.
Tenuto conto del periodo di preavviso di legge e di contratto il rapporto di lavoro si intende estinto di fatto e di diritto in data 30 Aprile 2012.
Le spettanze di fine rapporto ed i Suoi documenti saranno a Sua disposizione a fare data dal 15 maggio 2012.
Distinti saluti.”
Quella riportata qui sopra è la lettera con cui mio padre, operaio metalmeccanico, è stato licenziato dall’azienda in cui lavorava. Si tratta di una normalissima, nonché legittima, lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una missiva come centinaia, anzi, decine di migliaia di altre che ogni giorno vanno a funestare le giornate e l’avvenire di tanti lavoratori dipendenti.
E’ il 1° maggio, oggi, la Festa dei Lavoratori. Una ricorrenza che pare uno scherzo, di questi tempi, soprattutto in un Paese in cui quasi un membro su dieci della forza-lavoro è attualmente senza impiego, con stime per il futuro che prevedono ulteriori aumenti di questo numero.
Sembra ci sia poco da festeggiare, in questo 1° maggio. Sembra ci sia solo da resistere. E c’è anche chi, purtroppo, a resistere non ce la fa davvero più. E allora cade.
E i “caduti” di questa guerra senza nemici sono sempre di più, ogni giorno che passa. Tutte le mattine leggiamo sui giornali storie di disperazione. Imprenditori e operai, padroni e sottoposti, ricchi e poveri. Stando al Secondo rapporto Eures “Il suicidio in Italia al tempo della crisi”, relativo all’anno 2010 (dunque prima che la crisi desse la sua seconda e più poderosa sferzata), i disoccupati che si sono suicidati sono stati 362 (la maggioranza nella fascia che comprende i cosiddetti “esodati”, quella tra i 45 e i 64 anni), gli imprenditori che hanno scelto di farla finita, invece, sono 336. In questa categoria, solo nei primi mesi di quest’anno, il numero si aggira già intorno ai 25 morti (l’ultimo il 29 aprile: un imprenditore nuorese che si è tolto la vita dopo essere stato costretto a licenziare i propri figli).
Numeri spaventosi, impensabili in un paese avanzato.
E la soluzione proposta riguardo alle varie tematiche del lavoro qual è? Eliminare l’art. 18, rendere più facili i licenziamenti, of course! Abbassare, in sostanza, le tutele per chi lavora.
Portabandiera di questa crociata è, ormai da anni, la FIAT, in particolare nella persona del suo Amministratore Delegato, Sergio Marchionne. Nelle poche grandi fabbriche dell’azienda piemontese rimaste in Italia, infatti, vengono messi in discussione persino i più elementari diritti di rappresentanza sindacale: sono soltanto di qualche mese fa le desolanti immagini dei delegati Fiom costretti a portare via dallo stabilimento di Mirafiori le foto di Gramsci e Berlinguer, a seguito del referendum che ha visto vincere la posizione dell’azienda a discapito di quella del sindacato (ricordiamo che il solito Marchionne aveva tuonato: “O vince il sì o lasciamo lo stabilimento.”).
Altro caso eclatante fu quello di Melfi, dove tre operai furono re-integrati al lavoro da una sentenza perché il loro licenziamento era causato soltanto dalla loro appartenenza alla Fiom e dunque alla loro attività sindacale.
I periodi di crisi, si sa, sono da sempre i più duri per chi lavora. E’ negli anni di difficoltà che i diritti sindacali, anche i più basilari, vengono calpestati e ridotti all’osso, come sta accadendo in FIAT (ma non solo).
Proprio per questi motivi, in questo 1° maggio 2012, dobbiamo festeggiare. Festeggiare chi ancora non demorde, nonostante le difficoltà, festeggiare chi si batte per i diritti dei lavoratori tutti, festeggiare il Lavoratore, qualsiasi sia il suo impiego, qualsiasi sia il suo reddito. E ricordarci, per quanto possa suonare banale, che, oggi più che mai, il lavoro nobilita l’uomo.