E’ di pochi giorni fa la notizia di Luigi Martinelli che, armato, ha preso in ostaggio 15 persone nella sede dell’Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo.
Dopo una lunga trattativa, l’ex-imprenditore si è arreso, liberando l’ultimo ostaggio che ancora aveva con sè e consegnandosi ai carabinieri.
Le ragioni, sin troppo facili da capire: una serie di cartelle di Equitalia che Martinelli non era in grado di pagare.
Ci ho messo un pò di tempo a metabolizzare la notizia. Sarà anche perchè, a mio avviso, è stata diffusa dai principali giornali e telegiornali in modo a dir poco strano.
Ho avuto l’impressione che ogni articolo, ogni servizio, tendesse ad evidenziare l’assurdità del gesto, quasi spogliato della sua gravità, sociale e penale, riducendolo al gesto di un folle, o quasi.
Il popolo della rete non ha dato, dal canto suo, uno spettacolo migliore.
C’è chi lo proclamava un eroe, chi invitava a seguire il suo gesto, ma sempre comodi sulle loro poltrone, a caccia di qualche “mi piace”.
Chi lo trattava come un pazzo, lo derideva, ne traeva idiote parodie stile film americano.
Io mi son posto un altro problema: qual è il corretto metro di giudizio per quest’uomo?
Basta ridurlo ad un reato penale (cosa che effettivamente è), oppure c’è qualcosa di più profondo?
E’ un crimine o un gesto di protesta? E’ un’irruzione in una banca, un sequestro di persona o un’estrema difesa della propria dignità?
Insomma, vittima o colpevole?
Non sono considerazioni stile “Forum”, perché son convinto che la giustizia non è un opinione, ma direi che possono arrivare a toccare due punti cruciali dello stato di diritto.
Innanzitutto: le leggi sono le regole che la società si impone per garantire la sicurezza delle persone e dei beni.
Ma cosa succede nel momento in cui ad essere a rischio è la sopravvivenza stessa di una persona? Di fronte a una vita a pezzi, al rischio di un fallimento che da economico diventa ben presto personale, diventa il terrore di deludere la famiglia, tutti i propri conoscenti; cosa vince, l’obbedienza all’astratto sistema della giustizia o un istinto più primitivo che comunque ci guida?
Il secondo punto, che dovrebbe essere uno dei temi cardine della Sinistra, è l’idea di equità e giustizia sociale.
L’equità non si esaurisce in un’inflessibile esazione delle tasse. Equità non significa ridurre alla fame le persone, pur di riscuotere.
Equità significa garantire la dignità umana, ancor prima che economica, a tutti.
Ma, soprattutto in questi tempi, abbiamo messo i principi contabili davanti a quelli umani.
E davanti al dramma umano, quale può essere la reazione ad un’ennesima richiesta di denaro, che appare come un’imposizione, una violazione del proprio inviolabile diritto a sopravvivere? Che succede quando lo Stato ai tuoi occhi sta commettendo un’ingiustizia nei tuoi confronti? Spesso non rimangono che gesti estremi, non rimane che urlare con tutta la voce che si ha in gola, con la speranza che qualcuno ci ascolti.
Non vedo grande differenza in quest’ottica tra i tanti suicidi di imprenditori e questo gesto.
In entrambi i casi c’è gente esasperata, che compie gesti estremi, azioni che difficilmente posso essere ridotte al puro reato penale, come in questo caso, perchè sono il sintomo di qualcosa di molto più grave, che deve allarmarci.
Si sta arrivando al punto in cui, in nome di concetti astratti di stabilità economica, di pareggi di bilancio, ci si dimentica dell’origine di tutto: la persona.
Ci si sta dimenticando che, alla base di tutto, c’è l’uomo è il suo diritto di vivere.
Ci si dimentica che il denaro è uno strumento per facilitare gli scambi, non la ragione di vita e di morte, non il metro di giudizio del nostro valore, della nostra importanza, della nostra dignità.
I governi diventano sempre più contabili, sempre più tecnici. Forse c’è un’altra strada: tornare umani.