La Camera ha oggi approvato la norma del ddl anticorruzione (precisamente l’articolo 10) che prevede che nessun condannato in via definitiva (per i reati gravi come mafia, terrorismo, contro la Pubblica Amministrazione o altri reati che prevedano come pena massima la detenzione di almeno 3 anni) possa essere candidabile come parlamentare della Repubblica, una norma che i altri Paesi non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di scrivere ma, in ogni caso, è un bene che sia stato approvata nel voto di fiducia odierno.
Tutto a posto allora? Non proprio.
Per quanto tali personaggi non risulteranno candidabili, potranno comunque finire a capo di qualche authority o di qualche fondazione, insomma l’incandidabilità diventerà la scusa per offrire loro altri posti di potere per cui la norma, stando a quanto si sa, mi pare limitata.
In ogni caso il testo così com’è se emendato dovrà comunque passare sotto il vaglio del Senato e non si sa cosa potrebbe accadere, nella migliore delle ipotesi il testo passerà senza ulteriori emendamenti e diverrà legge. Ma non subito.
C’è infatti un altro punto critico: il testo è stato approvato con un emendamento presentato dal PdL (nella persona del Senatore Lucio Malan) che prevede non la diretta applicabilità della norma ma il preliminare passaggio per l’azione del Governo.
Il Governo ha, infatti, la delega di attuazione fino ad un anno per rendere applicabile la norma, si spera che il governo dei tecnici vi provveda entro la fine della legislatura, altrimenti all’indomani della nuova legislatura avremo nuovamente un Parlamento composto di condannati e, se il Governo sarà guidato da persone affini a quelle che hanno avuto il potere negli ultimi anni, stiamo ben certi che ne passerà prima che la delega venga attuata, se venisse attuata!
Il 14 giugno il governo ha fatto suo un ordine del giorno che prevede l’atto di attuazione prima della fine dell’incarico.