Dopo l’approvazione delle quote rosa nei CdA delle aziende quotate in borsa, si torna a parlare di quote rosa anche in Parlamento. Non starò qua a sciorinare dati sulla condizione delle donne in Italia e non vi dirò nemmeno che nel paradiso svedese per non “sforare” a molte aspiranti dottoresse e psicologhe è stata rifiutata l’iscrizione all’università (ecco ve l’ho detto).
Posto che le quote di genere hanno la loro utilità nell’accelerare l’evoluzione delle pari opportunità, ancora non mi è chiaro chi deciderà come saranno applicate e soprattutto mi sfugge il perché. Pare che il motivo principale sia che le aziende che hanno nel CdA un nutrito numero di donne sono più produttive… volendo con lo stesso metodo si può dimostrare che le aziende col fatturato più alto sono quelle che hanno più piante negli uffici (chiaro che è una provocazione, ma ha un fondo di verità).
Il motivo retorico è che le donne portano la loro cultura e il loro modo di essere, ho letto addirittura che le donne sono più oneste. Lo dice Peter Gomez, lanciando la sezione Donne di Fatto de Il Fatto Quotidiano, che poi non è altro che l’ennesima riproposizione dei già noti D di Repubblica e Io Donna del Corriere. Gomez chiude così il suo articolo
Donne di Fatto sarà così per noi una sorta di legge che alla lunga, speriamo, finirà per cambiare molte nostre convinzioni e modi di intendere questo mestiere. E, forse, alla fine ci renderà migliori.
Wow! Un sacco di donne scriveranno su uno dei quotidiani più letti d’Italia! Una vera rivoluzione!
Ma cosa succede se guardiamo ai piani alti del Fatto? Il fondatore è Antonio Padellaro (uomo) che è anche il direttore, il vicedirettore è Marco Travaglio (uomo), i caporedattori sono due (uomini), Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez, il CdA è composto da tre persone (più Chiarelettere*), di cui una sola è una donna, Cinzia Monteverdi, ci sono poi cinque azionisti operatori: Padellaro, Tinti, Travaglio, Gomez e Lillo, cinque uomini naturalmente. Insomma pare proprio che Il Fatto abbia ben poco da insegnare a politici e imprenditori riguardo alle quote di genere. Ma noi gli concediamo tutto il tempo del mondo per adeguarsi all’Europa, d’altronde a detta di Gomez ci sono voluti alcuni mesi per capire
che una sezione di questo tipo era necessaria per obbligare la redazione ad occuparsi con costanza di temi che per conformismo (ma non solo) spesso finivamo per ignorare.
Io qui, su Qualcosa di Sinistra, come altre compagne, lo spazio l’ho trovato naturalmente, parlando di scienza, storia, politica, economia, quelle cose di cui parlano generalmente gli esseri umani, senza quote e senza bisogno di sezioni speciali. Mi rendo conto che la nostra è una piccola realtà, ma dimostra ugualmente che se si parte tutti dalle stesse condizioni non c’è bisogno di diventare uguali per legge (o di Fatto).
*Chiarelettere è partecipata del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, che ne detiene il 49%. Come specificato su ogni libro, la proprietà di Chiarelettere è costituita da: Gruppo GeMS, Lorenzo Fazio (direttore editoriale), Guido Roberto Vitale, Sandro Parenzo. L’amministratore delegato di Chiarelettere è Marco Tarò (donne zero…)