Demolire le presunte icone della sinistra dovrebbe diventare sport olimpico. A contendersi l’oro ci sarebbero Rolling Stone e Il Giornale, con la loro crociata contro colui che, ai loro occhi, è per tutti San Fabrizio De André da Genova. Fare la parte degli intellettuali scomodi e controcorrente è un bel giochetto che rinvigorisce l’ego, perciò via alla fiera delle banalità: De André è un cantautore nient’affatto eccezionale, sopravvalutato a scapito del povero Battisti, un borghese che si diverte a perculare il proletariato anche da defunto facendogli credere di essere dalla sua parte mentre si ubriaca sperperando i soldi di famiglia. A scrivere il pezzo su Il Giornale è niente-popò-dimenoche Luca Beatrice, meta-assessore alla beatitudine (non sto scherzando) del fu comune di Salemi. Fu, in quanto sciolto per mafia dal Ministero dell’Interno.
L’idea piuttosto diffusa a destra come in certe elite di sinistra è che vi siano personaggi baluardo di un determinato colore politico e che questo obblighi i veri intenditori di musica ad illuminare il popolo affinché non inseguano ciecamente falsi profeti e si prostrino davanti a vitelli d’oro.
Fortuna che c’è gente come Carlo Antonelli, perché pare che i comunisti adorino De André come fosse il loro Pio da Pietralcina, ma, orrore degli orrori, Faber era figlio di un grosso industriale genovese. Non sia mai! Il sinistrorso e il suo lume devono essere dei pezzenti, figli di accattoni di borgata! Alla fine, quello che si evince dalle pagine dell’ultimo numero della rivista è che De André era un uomo e non un santo (come direbbe la Berté): questa la strabiliante scoperta di Antonelli.
Ma c’è di peggio. Scrive infatti l’ex assessore Beatrice:
Negli anni Settanta il Bel Paese era funestato dai figli ingrati della borghesia pasciuta e benestante, teorici dell’«armiamoci e partite», che hanno riempito migliaia di teste di ideologia tragica e funesta. Oltre a rappresentare ben poco dal punto di vista della ricerca sonora, quasi nulla li differenziava dai cantanti del Festival di Sanremo, se non la verniciatura di «rosso» sulla rima baciata cuore-amore. Fabrizio De André era uno di loro, come l’altezzoso De Gregori, l’avvelenato Guccini, il sopravvalutato Vecchioni. Borghesi, benestanti, ricchissimi, indifferenti alle vicende di quel proletariato che spesso citavano a sproposito nei loro testi.
Non so come si possa partorire l’idea che un cantante debba capeggiare una rivolta popolare, la cultura dovrebbe avere il ruolo di far circolare le idee, di concimarne il terreno, perché l’azione non muoia prima di nascere. Poi è pacifico che c’è chi, fra i giornalisti, si ferma alla produzione di concime: l’ideologia tragica e funesta di cui parla Beatrice è, ovviamente, quella socialista. Tuttavia conosco persone che votano destra e conoscono Guccini a memoria, mentre stento ancora a capire il motivo per cui ci si cruccia da anni sulle preferenze politiche di Battiato, nemmeno avesse il voto che vale doppio.
Rolling Stone non è nuovo alla demolizione coatta. Il pittore punk Roberto Agus, un anno fa, di De André diceva così:
parte da Jacques Brel ma poi pesca i suoi suoni nella tradizione paesana, dialettale, ed etnica, eliminando con superficialità la parte ludica e la ricerca sonora. […] nuovi fantastici suoni erano in arrivo, la scena disco stava dando i suoi frutti così come De André ci ha lasciato la sua di eredità: un manierismo dilagante che ostenta il medesimo frullato di influenze: balcani e klezmer, tarantole e tarantelle, terzomondismo e un po’ di ska o la loro caricatura.
De André lo annoiava, poverino, e così s’è perso tutta la parte ludica della sua produzione e la ricerca sonora del lungo sodalizio con la PFM. Anche a me talvolta piace la musica di noi giovani, eppure ‘sto Agus continuo a non sapere chi sia.
Questi tre più che giornalisti mi sembrano novelli marchesi del Grillo, forti dell’io so io e voi nun siete ‘n cazzo, in cerca della polemica che rimpolpi (hai visto mai) le casse delle due testate. Qualcuno spieghi loro che non siamo in attesa che il messia De André ci faccia dono delle stigmate e che nessuno li manderà martiri al rogo: a sinistra non abbiamo la Santa Inquisizione, e se anche ci fosse i tre critici non sono certo degli eretici rivoluzionari alla Giordano Bruno. Sono piuttosto dei perfetti sconosciuti, in cerca di un momento di gloria sulla pelle di De André. Che tristezza.