Una delle grandi sfide per chi si occupa di nanomateriali è quella di creare dispositivi in grado di imitare le peculiarità dell’essere umano e di alcuni animali. In un centimetro quadrato della nostra pelle i recettori tattili sono 130. Grazie ad essi riconosciamo il caldo e il freddo e alcuni di noi possono abilmente maneggiare un bisturi o un pennello. Inoltre abbiamo la capacità di riconoscere dove avviene l’esperienza tattile e possiamo esercitare o percepire pressioni diversissime, riconoscendone anche la direzione.
L’ultima innovazione nel mondo delle nanotecnologie viene dall’Università di Seoul, da parte del gruppo del prof. Kahp-Yang Suh ed è illustrata in un articolo di Nature Materials del 29 Luglio, ripreso anche fra le news di Nature. Il team dell’ingegnere coreano si è ispirato… alle blatte. Le ali di questi scarafaggi sono coperte da tanti piccolissimi peli che interagiscono con quelli presenti sul corpo dell’insetto tramite una forza debole nota da moltissimo tempo ai fisici e ai chimici, la forza di Van Der Waals, che è anche alla base della capacità dei gechi di muoversi sulle pareti senza utilizzare adesivi alla Spiderman.
Gli studiosi coreani hanno costruito un sistema molto simile a quello previsto dalla natura: due fette di di fibre polimeriche (simili a delle spazzole), coperte di platino per renderle conduttive, vengono chiuse a sandwich in modo da interagire fra loro come fanno le ali sul corpo degli scarafaggi. Il sandwich viene quindi collegato a un sistema che applica una corrente elettrica e infine viene coperto da un polimero, il polidimetilsilossano, materiale usato soprattutto in campo medico perché completamente biocompatibile. Quando il sistema subisce una pressione anche piccolissima (5 Pascal, il tocco gentilissimo di un dito), i peli artificiali all’interno del sandwich cambiano di posizione, generando una differenza nella resistenza elettrica.
Il sistema del prof. Suh verrà utilizzato molto probabilmente per monitorare il battito cardiaco, applicandolo sul polso del paziente come fosse un cerotto. Altri studi, condotti in ogni parte del mondo (Italia compresa), aprono le porte anche allo sviluppo di robot ultrasensibili che favoriscano la microchirurgia (di importanza rilevante in campo neurologico), o di sensori applicabili ai tessuti umani (dall’epidermide al sistema nervoso), che possano ridare sensibilità tattile, per esempio, ai malati di sclerosi laterale amiotrofica, più nota come SLA.