L’ultimo attacco alle Olimpiadi, sul leitmotiv del panem et circenses, arriva dal blog di Beppe Grillo. Il post è più che altro un collage di retorica e presunzione già visto sui quotidiani nazionali (ne fa un bel ritratto Gramellini su La Stampa), di chi dall’alto di non-si-sa-bene-cosa, pontifica sulla stupidità e ignoranza del popolino che per qualche ora abbandona la miseria quotidiana godendosi le imprese sportive di atleti italiani e non in quel di Londra.
Grillo non conosce né ha mai conosciuto nessuno che pratichi il fioretto (ma suo cuggino costruisce autostrade in Iran) e Marani del Fatto Quotidiano si perde inesorabilmente i nobili cento metri maschili per beccarsi l’inutile e ridicola finale del tappeto elastico oltre ad essere pervaso da una sensazione amplificata di caldo e di immane tristezza. Ma quanta boria, questi signori! Se da una parte si pecca nel santificare l’atleta vincente e nel buttare letame su chi vincente non è più, dall’altra ci si sente in dovere di avvisare gli spettatori che mentre gioiscono per il tiro al piattello, Monti e Napolitano gli sfilano l’argenteria da sotto il naso, cosa che in assenza di paraocchi olimpico pare invece non possa accadere.
Non è contemplato appassionarsi alla pallamano o al judo, è vietato gioire dopo un buon esercizio di una ginnasta, è proibito restare a bocca aperta di fronte all’immenso sforzo atletico delle sincronette, soprattutto per chi, come me, ha avuto poche possibilità di tempo ed economiche per praticare uno sport a livello agonistico. E per me, come credo per altri che come me non vivono più nel proprio Paese, pare sia pericolosamente nazionalista emozionarsi un po’ sentendo le note del proprio inno.
Cosa dovremmo fare allora? Cosa ci salverà dalla miseria e dall’ignoranza? Smettere di organizzare Olimpiadi? Impedire che si pratichi sport a livello professionistico? Bandire i film comici dalle sale a favore di pellicole di denuncia o edificanti? Eppure sono certa che qualcuno di noi ha condiviso lo sfogo fantozziano contro il capetto tiranno che obbligava i dipendenti a sorbirsi Ejzenštejn anziché godersi la partita. Fu proprio quella scena a raccontare molto più che in altre opere-mattone (com’è appunto La Corazzata Potëmkin) la ribellione del servo al padrone.
Non sono quindi anche questi giornalisti o questi leader dei padroni nell’animo il cui ego si sfoga nel demolire lo sport? Se invece nascondessero una loro stupefacente ignoranza sportiva, come tante volpi che non arrivando all’uva dicono che è cattiva? E quindi se Grillo o qualcun altro di fioretto non capisce una mazza, a noi che invece ne capiamo ed esultiamo, interessa forse qualcosa della loro pallosissima opinione in merito?
Non so a voi, ma a me di questi tempi leggere i giornali o i blog fa spesso tanta tristezza. Vorrei meno retorica, meno parolai e scribacchini, e mi piacerebbe che al posto loro ci fossero invece più Gianni Brera.
E vorrei che mi si lasciasse sognare in santa pace, senza bisogno di vergognarmi o di sentirmi stupida se per qualche minuto, pur conoscendo piuttosto bene i fatti storici, immagino che più di una mitraglia o di una bomba abbiano potuto cambiare il mondo i quattro ori di un atleta nero vinti sotto il naso di un imbianchino austriaco.