Oggi è l’11 settembre. E fin qui, l’avete visto dal calendario. Undici anni fa le Torri Gemelle venivano buttate giù da un attentato terroristico di Al Queda, provocando 2974 morti: tra questi 343 erano vigili del Fuoco e 60 poliziotti, tutti impegnati nei soccorsi.
Per 11 anni ci hanno mostrato ad ogni anniversario quelle immagini per giustificare guerre e interessi economici che nulla avevano a che fare con il rendere giustizia a quelle vittime. Gli USA pensavano di aver ritrovato, con Bin Laden, il nuovo nemico totalizzante da abbattere come ai tempi della Guerra Fredda: il risultato è che in 8 anni, mentre la Cina diventava il primo centro manifatturiero del pianeta e acquistava la metà del debito americano, gli USA rincorrevano una piccola organizzazione terroristica, spendendo per altro una barcata di soldi e rimettendoci migliaia di soldati.
Fatta questa premessa, oggi ricorre l’anniversario di un altro 11 settembre, ben più insanguinato e ben più traumatico: quello del Golpe in Cile. Correva l’anno 1973, al governo del Paese c’era Salvador Allende, la prova vivente che era possibile una via democratica al socialismo senza applicare la dittatura come a Cuba, come nell’URSS, come in Cina: un faro per tutti i comunisti del mondo che alla Terza Via credevano davvero (al riguardo le parole di Enrico Berlinguer sono illuminanti).
Quel colpo di Stato, che noi oggi sappiamo essere stato finanziato dagli USA, provocò 30mila morti e ben 600mila cileni furono torturati: seguì, dopo, la più feroce dittatura sudamericana che si ricordi, quella di Augusto Pinochet.
Quando però chiedi perché mai tutti parlano dei 2974 morti americani, mentre nessuno menziona i 30mila morti cileni, ecco che saltano fuori i Soloni della tragedia (per lo più fascisti), che ti ricordano che anche le vittime dei gulag non sono ricordate, come a dire che quei 30mila morti cileni non si meritano una data, o meglio, si mettessero in fila, col numerino.
Posto che, adottando questo criterio, dei 2974 morti americani non dovrebbe parlare nessuno, ma la vera domanda è: cosa c’entrano i gulag con Salvador Allende? Nulla. Però siccome i gulag erano prigioni politiche della dittatura sovietica, allora, essendo Allende un comunista e i sovietici pure, per una non ben precisata proprietà transitiva la colpa dei gulag dovrebbe ricadere pure su Allende.
Un esercizio stupido, che definisce degnamente chi lo fa, ma assai pericoloso, perché ci ricorda come la memoria, oggi più che mai, è fondamentale. E tocca noi preservarla.
Noi non dimenticheremo mai il loro sangue. E le parole di chi ordinò, de facto, la loro condanna a morte:
«Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.»
Il campione di democrazia in questione è Henry Kissinger, allora segretario di Stato USA e premio Nobel per la pace. Quale pace, davvero non si sa.