Ho letto con interesse gli strazianti e accalorati articoli su Repubblica e il Fatto Quotidiano sulla mancanza di fondi Erasmus e sul rischio (reale?) che si possa interrompere il progetto, a 25 anni dalla sua partenza.
Ed è un interesse del tutto personale, visto che fino a Febbraio sono a Parigi, appunto in Erasmus.
Mi sarei (io stesso) aspettato di indignarmi, di pretendere a tutti i costi che si possa continuare a vivere quest’esperienza, proprio come sto facendo io.
Però le parole e i toni usati negli articoli, mi hanno fatto storcere il naso e magari risvegliato il cinismo.
C’è chi asserisce addirittura che:
“[..]sopprimere il programma Erasmus significa avvalorare la tesi che questa Unione Europea, sempre più ostaggio di politiche liberiste lontane dalla quotidianità di cittadini, è capace soltanto di fare gli interessi delle banche.[..]
E’ in gioco l’identità stessa del sogno europeo.”
Giulia Rodano, Idv
Pur sostenendo la causa, poi, non ci si dimentica dei grandi stereotipi sull’Erasmus:
Studiare. Diciamo la verità, lo studio – inteso come libri, scrivanie, esami e professori da temere – forse è l’ultima cosa che uno ricorda di quei sei mesi di squilibrio. Squilibrato, se lo ricordano così, quel viaggio che di solito comincia a settembre o a febbraio, si interrompe a luglio, ma nella testa di chi l’ha fatto non è finito mai.
Paola Zanca, il Fatto Quotidiano
Io so solo che in una delle città più care d’Europa, anche l’attuale finanziamento Erasmus è pressochè simbolico, non penso apra nuove possibilità a chi ha difficoltà economiche.
So che sono qui perché ho scelto un’università che mi piace, perché voglio cercare di imparare una nuova lingua, perché volevo provare a rinunciare ai tanti agi che avevo in Italia.
E credo assolutamente che l’Erasmus sia un’ottima palestra di vita.
Però non capisco questi movimenti di indignazione, dilaganti su internet.
Li trovo inopportuni, tremendamente radical chic.
Come ci si può lamentare dei fondi Erasmus pochi giorni dopo che degli studenti sono stati presi a manganellate, caricati mentre manifestavano in piazza?
Come ci si può lamentare di come sia difficile andare a studiare all’estero quando non c’è nessuna forma di assistenza per chi, spinto da ragioni geografiche o personali, deve fare il fuori sede?
Se non sono garantiti i diritti minimi degli studenti, se non vengono elargite le meritate borse di studio nemmeno per le fasce di reddito più basse, se la maggior parte degli studenti non può concedersi il lusso di comprarsi i libri di testo, vogliamo veramente iniziare una battaglia per difendere il nostro diritto ad andare a studiare all’estero in tutto il mondo?
Forse di questi tempi, Maria Antonietta avrebbe avuto una certa popolarità: ci hanno privato del pane e siamo tutti affamati di brioches…