A ridosso delle elezioni sui giornali si fa a gara nell’elencare gli impresentabili di qualsivoglia formazione e i partiti si dilettano in operazioni di pulizia più o meno degne di questo nome. Ma la recidiva è cosa assai difficile da debellare e gli impresentabili si ripresentano, con fattezze diverse, così da confonderci e ingannarci. A Montecitorio, a palazzo Madama e a palazzo Chigi, è un’invasione, è una metastasi.
A nulla sembrano servire gli appelli alla società civile o riunire bande di onesti. Sembra quasi che non esistano.
E infatti non esistono.
Il parlamento e il governo italiano, le lunghe file di impresentabili che aspirano a una poltrona anche solo per godere nell’imporre la propria visione distorta del mondo, sono il perfetto campione statistico della cosiddetta società civile. Così se si va a pescare nella più remota piazza di paese un futuro deputato o sottosegretario non sarà difficile trovarvi l’omertoso, il negoziante che non fa lo scontrino da ben prima della crisi, lo studentello un po’ cafone che se non è ignorante è di certo presuntuoso, il cattolico così praticante che vorrebbe far praticare il cattolicesimo a tutti, l’esterofilo pieno di boria, il raccomandato.
Perfino Gesù, nello scegliersi a malapena dodici collaboratori, imbarcò un impresentabile: appare inconfutabile che in quel tempo, fra i giudei, mediamente uno ogni dodici preferisse il tesoro all’amicizia.
Il tentativo di pesca miracolosa non andrà quindi a buon fine se non si pensa molto prima ad allevare irreprensibili pesciolini. L’errore per noi è di vecchia data, quella in cui facemmo l’Italia e poi iniziammo a voler fare gli italiani. Peccato non essere mai riusciti a farci e finirci.
Questa è una confessione nazional-elettorale di un Paese in cui chi non è corrotto è per forza corruttore. Questa mia voluta generalizzazione spero vivamente vi offenda. Io mi sento già così diffamata che quasi quasi mi querelo da sola.
Finalmente si comincia a dirlo, cazzo.