di Laura Bonaventura
Terminata la dittatura fascista, a Portella della Ginestra (Purtelja së Jinestrës in Albanese) si ricominciava a festeggiare il 1° Maggio nei pressi del cosiddetto sasso Barbato, il podio naturale da cui il medico e fondatore dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, morto nel 1923, usava parlare alla folla, guadagnandosi l’odio di Crispi e del boss Cuccia. Quella del 1947 fu una festa ancor più sentita per i contadini siciliani: il Blocco del Popolo (PCI-PSI) aveva preso quasi il 30% delle preferenze, superando la DC, scesa al 20%. Ma la campagna elettorale era stata infuocata, già a gennaio la mafia si era data da fare, con l’omicidio di Miraglia e Macchiarella e la sparatoria nel cantiere navale di Palermo. Il 1° Maggio a sparare sulla folla fu la banda di Salvatore Giuliano. Nessun mandante. Nessun complice. Nessuna responsabilità per 11 morti e diversi feriti (bambini compresi), se non quella di una banda di briganti.
Siamo nel 2013, in Bangladesh, precisamente nella periferia di Dacca. A 66 anni e 9 mila chilometri dalla strage di Portella della Ginestra. Nel Rana Plaza si confezionavano prodotti tessili destinati agli occidentali. Il palazzo crolla il 24 Aprile. Era già successo nel 2005, nel 2006 e nel 2010, senza contare l’incendio di una fabbrica a fine 2012.
Il 9 Aprile 2012 Amimul Islam, un attivista bengalese per i diritti dei lavoratori, è stato assassinato. Nel 1921 la mafia uccise Vito Stassi “Carusci”, segretario della Camera del Lavoro di Piana degli Albanesi. E poi Passafiume, D’Alessandro, Scalia, Li Puma, Rizzotto, solo per citarne alcuni. E ancora il Guatemala, l’Honduras, la Colombia, la Nigeria, le Filippine. I cento operai morti a Poznań nel 1956. I comunisti autocertificati stalinisti e cinesi, creatori di perfette macchine di sfruttamento e schiavismo, in cui ogni accenno di rivolta o dissenso si pagava e si paga con la morte.
Oggi è il 1° Maggio. Ci sarà il concertone a Roma e un bel discorso del nostro nuovo governo di centrodestrasinistra sulla crescita, il PIL e altre cavolate.
Io invece ho voluto ricordare qui tutte quelle persone che anche a costo della vita, in qualunque parte del mondo, hanno manifestato e combattuto per il diritto a un lavoro dignitoso, per l’abolizione dello sfruttamento, per il diritto alla salute e alla sicurezza, per il diritto all’opinione, contro le discriminazioni razziali e sessuali nei luoghi di lavoro. Mi dispiace aver accennato solo ad alcuni, mi dispiace di non avere il tempo e lo spazio per fare tutti i nomi e raccontarvi la storia e le idee di ciascuno. Mi dispiace non conoscere e non potervi far conoscere tutti quelli che non sono finiti sui giornali o nei libri o negli atti giudiziari e che molto più probabilmente sono morti ai margini di una strada, assassinati, torturati. Mi dispiace perché è triste essere numeri e non persone anche quando si parla delle nostre battaglie.
È impossibile predicare al povero l’amore pel ricco; il povero non vi ascolterebbe.
Se il ricco è contro il povero, è naturale che il povero debba essere contro il ricco. Io non potevo predicare l’amore, perché non sarei stato ascoltato ed avrei quindi lasciato affrettare quello scoppio che io volevo allontanato. […] Non predicavo l’amore, dunque; ma non predicavo l’odio. Educavo. Persuadevo dolcemente i lavoratori morenti di fame che la colpa non è di alcuno; è del sistema… Perciò non ho predicato l’odio agli uomini ma la guerra al sistema. […] Il socialismo procede appunto perché non è sentimentalismo: è forza, è pratica. Esso si fonda sulle leggi economiche. E qualunque cosa si faccia da noi, la borghesia dovrebbe esserci grata. Noi rendiamo le forze sociali meno temibili, meno disastrose. Ma tutto questo oggi dalla classe dominante si ignora: ed essa, credendoci nemici, vuole schiacciarci. Così la borghesia fece ammannire dai suoi magistrati incoscienti questo processo.
(Nicola Barbato, 26 Aprile 1894)
Buon 1° Maggio, compagni.