di Pierpaolo Farina
Eri rimasto comunista fino alla fine, eretico come pochi, profondo conoscitore della cultura del nostro Paese e della tua terra, pesantemente infiltrata dalla camorra e sgovernata da politici corrotti che negli anni l’hanno ridotta alla miseria.
Eri stato berlingueriano, iscritto al PCI, continuavi ad esserlo, isolato, ma continuavi a scrivere, a pensare, a lottare. Nonostante la tua età, avevi lo spirito di un ragazzo, migliore dei tanti che oggi non pensano a migliorare la vita di tutti, ma solo la propria. Con la morte nel cuore avevi assistito, opponendoti con tutte le tue forze, alla disgregazione anzitutto morale e politica del tuo partito, il PCI, soprattutto nella tua terra, la Campania, dove c’era già chi andava a tarallucci e vino con la camorra e, soprattutto, con i metodi di governo e spartizione della Democrazia Cristiana.
L’ultima volta che ci siamo sentiti non vedevi l’ora di leggere il mio libro, mi davi consigli, mi spronavi ad andare avanti: mi chiamavi “giovane compagno Farina”, mi hai prestato libri introvabili dalla tua immensa biblioteca, il tuo pensiero fisso era tramandare quel pezzo di conoscenza che tu avevi acquisito anche a costo di sacrifici personali altissimi con la tua esperienza diretta.
L’ultima volta che ci siamo visti, a San Giuseppe Vesuviano, nella tua casa, ti commuovesti rileggendomi la poesie di Salvatore Quasimodo sui quindici di Piazzale Loreto:
Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.
“Non ho più l’età per leggere certe cose senza cedere al pianto”, ti giustificasti. E poi discutemmo del Che, di cui mi regalasti un bellissimo quadro, e di Berlinguer, entrambi di famiglia borghese, nati nel privilegio, ma morti per l’ideale di una società senza ingiustizie. Volevi venire a Milano, qualche tempo fa, per la mostra di Picasso: perché l’arte era un’altra tua grande passione.
Te ne sei andato all’improvviso, lasciando un grande vuoto. Arrivederci compagno Giordano, grazie per quello che mi hai dato. Continuerò la lotta anche per te.