di Luciano Giacò
Oggi ricorrono 23 anni dall‘assassinio del Giudice Rosario Livatino, ucciso sulla SS640 dalla “stidda agrigentina”, un’organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra.
Il suo impegno nella lotta alla mafia lo aveva portato ad indagare sulle cooperative di Porto Empedocle, finanziate in maniera illecita dalla Regione Sicilia. Le sue indagini portarono alla luce quella che poi fu definita la “tangentopoli siciliana“. Restano famose le parole dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga:
“Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta”.
Diversi anni dopo Cossiga ritrattò. Facile dopo che una persona viene brutalmente assassinata.
Il Giudice Livatino stava eseguendo delle indagini sul connubio tra mafia e massoneria. Il suo omicidio matura negli ambiti mafiosi per dare un segnale ai Giudici intransigenti contro la mafia.
Dopo di lui vennero le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 41bis, il processo Andreotti e tutto il resto.
A 23 anni dalla morte del Giudice Livatino, sentiamo oscenità come: “Magistratura cancro della democrazia“ sulla bocca di ex Presidenti del Consiglio. Abbiamo uno dei partiti di Governo che considera la Magistratura italiana un ostacolo alla loro libertà (di delinquere aggiungerei) delegittimandone quotidianamente l’operato.
Pensiamo ai martiri come Rosario Livatino, la prossima volta che un politico, con la faccia di bronzo, parla di Magistratura come cancro della democrazia. Pensiamo a tutte le persone impegnate nella lotta alla mafia: i Magistrati, gli uomini delle Istituzioni e tutti coloro che ogni giorno rischiano la propria vita per contrastare la sub-cultura mafiosa, vero cancro della democrazia.