C’è qualcosa di decadente nell’aria. Non il vento veloce e frizzante che sempre, dall’alba dei tempi, anticipa le rivoluzioni. No, l’aria è di quelle stantie, soffocanti; un’umidità impalpabile si impadronisce del sistema politico italiano. Una sola cosa è certa: tutto il sistema su cui era stata convenzionalmente fondata la cosiddetta “seconda Repubblica”, ossia il bipolarismo, è miseramente fallito. Anzi, a dire il vero non ha nemmeno avuto un attimo di vita.
E’ stata un’illusione, anzi una convenzione. Il bipolarismo “all’europea”, con una visione progressista contrapposta a una visiona conservatrice, in Italia non c’è mai stato. L’equivoco, se così vogliamo chiamarlo, risale al 1993, l’anno spartiacque tra prima e seconda Repubblica; l’anno del referendum sulla legge elettorale. L’anno in cui, assieme a Tangentopoli, il sistema politico subisce un apparente scossone istituzionale: la legge elettorale proporzionale va in pensione e ne subentra una ad impianto maggioritario (il Mattarellum) che dovrebbe servire a raggiungere due fondamentali obiettivi.
Primo, evitare frammentazioni in partitini con poco peso elettorale che però – una volta giunti in Parlamento – possono spostare i propri seggi tenendo sempre sotto ricatto la maggioranza di governo: questo, in una democrazia, è inaccettabile perchè fa dipendere la volontà di decine di milioni di elettori (si pensi a quanti erano gli elettori della Dc, così come quelli del Pci) dall’interesse di pochi, pochissimi parlamentari.
Secondo, il maggioritario dovrebbe tendere a semplificare enormemente il quadro politico nella percezione dell’opinione pubblica, rendendo evidente l’esistenza di una sinistra (cioè, in generale un elemento politico basato sulla social-democrazia, più o meno condita da forze ecologiste) e una destra (cioè, in generale, un elemento politico basato sulla liberal-democrazia, più o meno condita da forze cristiano-sociali). Questo, in Italia, non si è verificato.
Perchè? Si potrebbe, con buona approssimazione, azzardare una risposta abbastanza verificabile. Il sistema delle reti clientelari, sviluppatissime al Sud già nei primi anni di Democrazia e esportate con un enorme – triste – successo al Nord e Centro-Nord specie a partire dalla metà degli anni ’80. Al mancato bipolarismo politico-istituzionale si è invece sovrapposto un bipolarismo politico-culturale netto, senza sfumature intermedie: la battaglia infinita tra berlusconismo e antiberlusconismo.
Ed è evidente che l’antiberlusconismo assume in sè la difesa della Costituzione, dei beni comuni, della Giustizia, del rispetto, del Lavoro, dei diritti civili, della Democrazia. Ecco, è questo il nodo cruciale. Al referendum del giugno 2011 sull’acqua bene comune e i servizi pubblici essenziali, 27 milioni di persone si sono informate, sono uscite di casa, sono andate al seggio e hanno votato. Ventisette milioni: più della somma degli elettori di PD, M5S e PdL messi insieme nel febbraio 2013.
Che cosa significa? Dal mio punto di vista significa che non è vera la favoletta che ci è stata propinata per anni e anni sul fatto che in Italia la maggioranza degli elettori sia di stampo conservatore, di centro-destra. Non è vero perchè se così fosse, il risultato di quei referendum, così all’avanguardia in termini di diritti e di maturità politica e decisionale, non avrebbe avuto alcun successo.
Il punto è trasformare questa cosa elettoralmente inesistente in una massa critica. Una rete di cittadini che discuta liberamente di questi argomenti. Impossibile? Forse, finchè ci sarà un sistema elettorale impantanante, è più che probabile che la situazione non cambi, se non all’interno dei partiti che si trovano in un momento delicatissimo: oggi abbiamo praticamente quattro partiti nazionali di destra-centrodestra (FI, alfaniani, FdI e Lega) coalizzati tra loro. Due partiti di centrosinistra (Pd e Sel). Un partito padronale che pesca un po’ a destra un po’ a sinistra (il M5S). E poi c’è il centrino, crocevia di tutte le trattative e il clientelismi della repubblichetta.
Se il sistema elettorale premiasse i singoli candidati dei singoli collegi elettorali, ad esempio, forse si potrebbe iniziare a porre al centro del discorso politico non più il leader carismatico ma la capacità e l’onestà (si spera) del singolo candidato parlamentare. Sarebbe, questo è certo, un avvicinamento della rappresentanza politica ai reali bisogni dei cittadini. Ma alla base di tutto questo, sia chiaro, anche con un sistema uninominale secco, lineare e che non lasci spazio a confusissimi “ripescaggi” (a differenza di quanto era accaduto con l’intricatissimo Mattarellum) occorrerebbe comunque un netto cambio di rotta nella moralità pubblica dei candidati e delle strutture partitiche. Ci vuole un’altra moralità, un’altra onestà, un’altra rettitudine.
Qualcosa che al momento nessuno, nemmeno il “nuovo che avanza” si chiami esso Grillo o Renzi, pare poter rappresentare.