Ho letto il libro di Francesco Piccolo, presentato in pompa magna da Fazio qualche settimana fa ed elogiato dalla critica come un libro bellissimo. E in effetti, “Il desiderio di essere come tutti”, che in copertina riprende quel famoso “TUTTI” apparso in prima pagina su l’Unità il giorno dopo i funerali di Enrico Berlinguer, è un bel libro.
Scritto bene, il racconto autobiografico di Piccolo scorre che è un piacere. Quando, ovviamente, racconta la sua vita privata. Quando, invece, pretende di rileggere l’Italia degli ultimi 30 anni, allora andiamo davvero molto male.
Agli ex-berlingueriani che negli ultimi anni si sono divertiti a cercare di demolire la figura di Enrico Berlinguer, francamente, siamo abituati: le loro argomentazioni sono talmente vecchie e asfittiche, che è diventato oramai quasi superfluo stare a ripetergli tutte le volte, dati e fatti alla mano, che non stanno in piedi. Ma da uno che divide la sua vita in “Io e Berlinguer: la vita pura” e “Io e Berlusconi: la vita impura”, francamente mi sarei aspettato più rispetto e, soprattutto, più attenzione ai fatti storici.
La tesi di Piccolo è la seguente: la Sinistra ha iniziato a perdere perché si è isolata con la battaglia sulla Questione Morale e ha preferito stare lontano dal centro del Potere. Riprendendo, senza citarla, le tesi sistematizzate nel terribile e volgare pamphlet di Miriam Mafai, pubblicato nel 1997, intitolato, non a caso, “Dimenticare Berlinguer”. Cosa che, a ben vedere, la Sinistra è riuscita a fare benissimo.
Ed è qui infatti che cade il castello di carte di Piccolo: la crisi attuale della Sinistra non è dovuta al fatto che è stata lontana dal centro del Potere, ma, anzi, perché ci si è accomodata e si è uniformata al modo di governare degli altri, intesi come i partiti governativi che hanno distrutto la Prima Repubblica, morta per un’overdose di tangenti.
La Sinistra ha smesso di vincere quando ha fatto quello che già Mitterrand diceva essere “il gesto inutile di un idiota”: tagliarsi le radici, nella speranza di rifiorire meglio. A ben vedere, è seccata tutta la pianta.
E davvero non si può sentire l’elogio di Craxi, che serpeggia nel libro e che Piccolo esplicita in una recente intervista a l’Espresso:
Guardi, io l’ho odiato come tutti i comunisti, ma sbagliavo. Craxi ha fatto in modo di impersonare anche la degenerazione del suo tempo, però all’inizio è stato un interprete acuto dei bisogni della società. Aveva una forza progressista che a noi mancava e non si capacitava dell’arretratezza dell’altra costola della sinistra. Diceva giustamente che Berlinguer vedeva ancora il mondo in bianco e nero. Pensi solo alla lotta contro il decreto di San Valentino, quello sulla scala mobile, che fortunatamente abbiamo perso.
In realtà, Cicchitto dixit a Minzolini, Craxi divenne segretario del PSI con i soldi della P2. E davvero non so proprio cosa ci sia di moderno nell’affarismo politico del satrapo garofanato, una vergogna per tutti quelli che sono morti e hanno dato la vita per l’ideale socialista. Non solo, il famoso decreto legge di San Valentino non solo nascondeva i primi germi del male autoritario che sarebbe venuto fuori con Berlusconi, ma fu anche il modo per lasciare intatti i privilegi delle clientele (che porteranno all’esplosione del debito pubblico, che ancora oggi ci trasciniamo dietro), scaricando i costi della riduzione dell’inflazione sui lavoratori onesti e perbene. Quanto alla battuta sul bianco e il nero, Craxi si riferiva al fatto che Enrico in casa sua non aveva la televisione a colori (lui in compenso alla sua amante Anja Pieroni comprò direttamente una stazione televisiva).
Craxi fu acuto interprete dei bisogni della società corrotta e dei poteri forti. E, infatti, il berlusconismo non è stato altro che la versione plebiscitaria del craxismo (perché va ricordato, il grande statista, morto latitante e condannato a 10 anni per corruzione, non andò mai oltre il 14%).
Dunque, sfruttando il fatto che oramai Enrico Berlinguer è tornato di moda, la Einaudi e Piccolo hanno pensato bene di incrementare le vendite attraverso una grandiosa operazione di marketing. Peccato che in questo libro Enrico Berlinguer venga ripetutamente pugnalato e nella maniera più subdola, poiché non dichiarata, dipingendolo con i classici canoni della propaganda anti-berlingueriana sia di destra che di sinistra.
Francamente, il titolo più consono a questo libro sarebbe stato: “Il desiderio di essere come Craxi”. E, caro Piccolo, vai tranquillo: sei sulla buona strada.