Tra le tante e recenti polemiche nel panorama della lotta alla mafia (l’ultima, in ordine cronologico, quella sul cosiddetto “circo dell’antimafia”), ha fatto scalpore il fondo in prima pagina sul Corriere di Ernesto Galli della Loggia, domenica 22 dicembre.
L’editorialista, partendo dai ben noti casi di Caterina Girasole e di Rosy Canale, fa un ragionamento anche condivisibile per quanto riguarda la cosiddetta “cultura della legalità”, espressione che di per sé non vuol dire nulla, ma sotto alla quale oramai ci si mette di tutto e di più, in ossequio ad una grandiosa tradizione tutta italiana.
Nel crescendo della vis polemica, però, Galli Della Loggia derubrica a mero folklore l’impegno di maestri e professori nella trasmissione degli anticorpi culturali che permettono ad un territorio di ribellarsi alle mafie. E lo confonde con quello che di solito viene mandato in onda nelle telecronache dei giornali.
Perché se è pur vero che ogni 23 maggio assistiamo davanti alle telecamere alla “carnevalata” di politici, portaborse, assistenti parlamentari e una fauna più o meno variopinta di gente a cui non frega una beneamata mazza di Falcone e Borsellino ma solo di fotografi e giornalisti, è anche vero che c’è una parte viva e forte che sfila in piazza e almeno dà un segnale che c’è ancora qualcuno disposto a metterci la faccia, nelle vie di Palermo, contro il Potere mafioso.
Perché davvero non si può descrivere la faccia di Lor Signori, a bordo strada, palesemente contrari alla manifestazione, che però per almeno un giorno all’anno non possono spadroneggiare con la consueta arroganza e sgranano gli occhi di fronte ai tanti lenzuoli bianchi (simbolo della manifestazione) che sventolano dalle finestre e dai balconi.
Può non servire a nulla, c’è sicuramente una retorica nauseante da parte di gente indecente, c’è chi non sa forse nemmeno perché è in manifestazione (o fa striscioni con citazioni attribuendole alle persone sbagliate), ma ogni lotta, per essere vinta, ha bisogno di simboli e il 23 maggio oramai è un simbolo contro il Potere mafioso.
Si può discutere su come cambiarlo, si può criticarne degli aspetti, ma io quella carnevalata la difendo: perché da quella massa unita di uomini, donne e giovani trasudano passione, coraggio e, soprattutto, speranza. Tre cose di cui oggi abbiamo bisogno come il pane, se non vogliamo dargliela vinta.
Certo, tutto questo non è sufficiente, perché se i giovani non si impadroniscono di ogni ramo del sapere, è ben difficile che possano lottare in maniera efficace. Del resto, lo diceva Caponnetto, “la mafia teme più la scuola della giustizia.” E un motivo pur ci sarà.