Alle 21:30 del 5 gennaio di 30 anni fa, Giuseppe Pippo Fava, classe 1925, veniva ucciso con cinque colpi di pistola calibro 7,65 dai killer del boss di Cosa Nostra Nitto Santapaola. Fu ucciso perché fu il primo a mettere nero su bianco quello che tutti pensavano allora, ma nessuno diceva: che il potere mafioso senza l’aiuto fondamentale del potere politico si sarebbe estinto come un qualsiasi fenomeno criminale (si pensi alle Brigate Rosse).
Fu ucciso perché era un giornalista libero e perché non aveva padroni, come specificò nell’articolo considerato il suo manifesto, lo spirito di un giornale. Aveva un concetto etico del giornalismo, in quanto un giornale che si fondi sulla verità dei fatti impedisce alla corruzione, al potere mafioso e a tutti i fenomeni degenerativi che attanagliano la nostra come altre società di prosperare e di inquinare la vita pubblica di un paese.
Ma fu ucciso anche e soprattutto perché fu il primo a mettere sotto accusa il potere economico e finanziario nella sua isola, che è stato ed è tutt’ora determinante per nascondere le ricchezze illegali che poi le mafie ripuliscono e reimmettono nel circuito legale, inquinando l’economia di un territorio. Fu ucciso perché in televisione, una settimana prima di morire, disse ad Enzo Biagi che lui di funerali di Stato ne aveva visti parecchi e molto spesso gli assassini sedevano sul palco delle autorità.
Ma Pippo Fava non è morto, il suo spirito ha perdurato e ha fatto fiorire in tutta Italia redazioni che hanno lo stesso concetto etico di giornalismo, tanto che da un paio d’anni si sono riunite per dare vita ai “Siciliani Giovani“, che idealmente riallaccia i nodi con la gloriosa tradizione del giornale fondato da Pippo Fava.
Pippo Fava fa paura anche da morto, come tutti gli esempi che dimostrano alle nuove generazioni che non è vero che sono tutti uguali e non è vero che affolliamo tutti questa terra per farci i nostri propri ed esclusivi interessi. Non ricordarlo, però, non si può, perché una parvenza di decenza questo Stato se la deve dare. Così il servizio pubblico produce un documentario, I Ragazzi di Pippo Fava, ne annuncia inizialmente la visione in prima serata, poi, dopo un mese, spot e programmazione Rai ci fanno sapere che andrà in onda alle 23:40: al suo posto il film Rango della Paramount Pictures (protagonista una simpatica lucertola 3D).
Con WikiMafia – Libera Enciclopedia sulle Mafie abbiamo deciso così di indirizzare un appello a Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo: in meno di 24 ore e con sole 700 firme (tra cui quella di Don Ciotti e di Gian Carlo Caselli) abbiamo ottenuto il ritorno alla prima serata. Sul valore dell’iniziativa ha scritto anche Nando dalla Chiesa. Tralascio il tragicomico tentativo della direzione di RaiTre di sostenere come il documentario fosse da sempre in prima serata, perché è un capitolo poco dignitoso.
Con questa vittoria in tasca però abbiamo ribadito una cosa, come ha detto Francesco Moiraghi, presidente di WikiMafia Associated, ieri a Milano: Pippo Fava, il suo sacrificio, il suo esempio valgono più di una lucertola. Checché ne pensi il Potere che ancora oggi, da morto, lo teme. E questa piccola vittoria ci insegna che aveva ragione Enrico Berlinguer, quando diceva che: “Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano a fianco dei lavoratori e degli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e l’ingiustizia.” Sta a noi giovani continuare a lottare, per far sì che Pippo Fava e tutti gli altri non siano morti invano.