Ieri eravamo in tanti, a Roma. C’erano Bianca, Maria, Laura, Luca Telese, Walter Veltroni, Emanuele Macaluso. E tanta gente qualunque, tra cui gli ex-bambini del suo quartiere, tutti a salutare commossi il “gigante buono” che fece da angelo custode a Di Vittorio, poi a Novella e infine ad Enrico Berlinguer, ma che aiutava tutti come poteva. Con aneddoti straordinari, come quel gran rifiuto dopo la morte di Berlinguer a diventare autista per la Camera dei Deputati (con il quale avrebbe guadagnato 10 volte di più), una scelta di coerenza di quelle che oggi non si vedono quasi più.
Quando abbiamo dato la notizia della sua scomparsa, sulla pagina facebook di Berlinguer, ci sono arrivati centinaia di commenti di stima e affetto, anche da persone che non lo avevano mai conosciuto, ringraziandolo per quello che ha fatto. Io che invece ho avuto il privilegio di conoscerlo, considero la scomparsa di Dante Franceschini una tragedia politica, perché abbiamo perso più di un padre, di un nonno, di un compagno di lotta e di un amico, abbiamo perso un pezzo della nostra memoria storica e collettiva.
Perché se oggi io sono qui e posso dire quello che dico e fare quello che faccio devo ringraziare anzitutto quelli come Dante che alla mia età decisero che valeva la pena rischiare la vita per un ideale. E non un ideale qualunque, bensì la lotta per “una società che rispetti tutte le libertà, meno una, quella di sfruttare il lavoro di altri esseri umani, perché questa libertà tutte le altre distrugge e rende vane.”, per usare le parole della persona a cui fece per 10 anni la scorta.
Diceva Piero Calamandrei che: “per fare buona politica non c’è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l’impegno morale. In politica, la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l’essere un buon affare.”
Ecco, Dante Franceschini non solo sapeva fare egregiamente il suo mestiere, non era solo una persona onesta, in assoluta buona fede, seria, rigorosa, assolutamente morale e sincera, ma era anche un grande uomo, perché fino all’ultimo ha dimostrato a noi giovani che non è vero che restare fedeli ai propri ideali di gioventù è da fessi e da perdenti. Ciascuno di noi si trova ad un certo punto della propria vita di fronte a un bivio: a sinistra trova ciò che è giusto, a destra trova ciò che è facile. Dante Franceschini scelse ciò che era giusto. E per questo, secondo la vulgata imperante, farebbe parte della razza di quelli che hanno sempre perso tutte le battaglie.
Ebbene, quelli come Dante avranno anche perso tutte le battaglie, secondo Lor Signori, ma ce n’è una che hanno sempre vinto: la quotidiana battaglia che ogni mattina ciascuno di noi ingaggia con il proprio specchio. Quella battaglia Dante Franceschini non la perse mai. E io preferisco essere come lui, essere considerato un perdente da Lor Signori, piuttosto che apparire vincente e fare schifo non tanto agli altri, ma anzitutto a me stesso ogni mattina.
Prima di andarsene, ha confidato a un amico: “Me ne vado via sereno, perché ci sono dei giovani che continuano a lottare per quello in cui ho lottato io.“
Caro Dante, io non so dove tu sia volato via, ma ti immagino con Enrico e Sandro a vegliare su di noi che siamo rimasti qui e che ora ci sentiamo molto più soli. Continueremo la tua lotta, è una promessa. Grazie per ogni meraviglioso momento che ci hai regalato. Ciao.