Sul dizionario della lingua italiana alla voce “coazione a ripetere” si trova scritto: “Tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze.“
In una frase sembra essere scritta la biografia della Sinistra italiana degli ultimi 15 anni. Badate bene: non ho detto 20, bensì 15. Perché i più grandi errori la Sinistra italiana li ha compiuti dal ’96 al 2001 e, benché la storia d’Italia sarebbe potuta essere completamente diversa se non si fosse agito come si è agito, agli esordienti di allora si poteva riconoscere l’inesperienza: ma dopo 15 anni a ripetere gli stessi errori, a porsi nelle stesse “situazioni penose o dolorose“, nessuno ha più scusanti.
Il primo fu Massimo D’Alema, con la Bicamerale: doveva riscrivere la carta, non se ne sarebbe fatto nulla. Anzi, l’unica riforma che approvarono a maggioranza (la riforma del Titolo V) ha prodotto tanti e tali guasti che si rende necessaria una nuova modifica, se non si vuole continuare ad avere enti locali e regioni divenuti semplicemente centri di corruzione e di sperpero di denaro pubblico. Anche allora Silvio Berlusconi era stato messo all’angolo dai suoi alleati (Fini e Bossi), ma il PDS lo promosse a padre costituente. Salvò partito, aziende e si proiettò verso il plebiscito del 2001.
Poi è arrivato Walter Veltroni, che per liberarsi dei partitini dell’Unione, nel 2007 privilegiò l’asse con Berlusconi per la legge elettorale: anche allora il Cavaliere era stato messo all’angolo dai suoi alleati (Fini disse “Berlusconi non andrà mai più a Palazzo Chigi coi miei voti”), anche allora c’era un Presidente del Consiglio che per far saltare il patto disse “ora facciamo la legge sul conflitto di interessi” e così Berlusconi, dato per morto e sepolto, resuscitò di nuovo. Rilegittimato, con gli alleati che l’avevano isolato tornati all’ovile, Berlusconi non aveva più alcun interesse a modificare la legge elettorale: disse addirittura che andava benissimo. Il resto è storia.
Ora c’è Matteo Renzi: dopo aver sparato a zero per 3 anni contro D’Alema e Veltroni e più in generale con la “Sinistra dell’inciucio”, il rampante sindaco di Firenze si è dimenticato di molte delle promesse fatte quando era un rottamatore. A partire da quella sul “Berlusconi game over”. Perché se D’Alema e Veltroni almeno stavano dialogando con il capo dell’opposizione e dell’allora secondo partito italiano, Renzi oggi sta dialogando con un pregiudicato in attesa di sapere se finirà agli arresti domiciliari o ai servizi sociali, espulso dal Parlamento (dove per altro non andava mai) e rappresentante del terzo partito italiano: il secondo, infatti, è il Movimento Cinque Stelle.
Anziché provare a dialogare con loro, Renzi ha optato per una legge elettorale che non è altro che una riedizione del Porcellum. Non solo, innalzando lo sbarramento per accedere ai seggi e istituendo il premio di maggioranza, questa legge risulta ancora peggiore della Legge Acerbo voluta da Mussolini: perché persino con quel premio di maggioranza abnorme, in quel parlamento fascistizzato entrarono il Partito Sardo D’Azione (0,34%), la Lista Slavi e Tedeschi (0,87%), il Partito Agrario (1,03%), il Partito Democratico Sociale (1,55%), il Partito Repubblicano (1,87%), i Liberali Centristi (3,27%), il Partito Comunista d’Italia (3,74%), il Psi (5,03%), il Psu (5,9%).
A parte i vizi di incostituzionalità rilevati da fior fiore di costituzionalisti, i sostenitori di Renzi dovrebbero spiegarci perché quando a dialogare con Berlusconi erano D’Alema e Veltroni salirono sulle barricate, mentre ora Renzi, che non ha più alibi e scusanti, può tranquillamente riscriverci la legge elettorale, che è la negazione di tutto quello che il sindaco di Firenze ha sostenuto di volere negli ultimi 3 anni.
Lo dico con amarezza: rischiamo di trasformare un’occasione storica nell’ennesima occasione mancata. Spero di sbagliarmi.