L’aria che tira in Europa è xenofoba, e non da ieri. Quando si sprofonda nella crisi nerissima una delle risposte più gettonate è sempre la chiusura delle frontiere. La Svizzera, terra di opportunità non solo fiscali lo sta già facendo, UK e Germania lo progettano gongolando. La scusa politica è l’apertura alla circolazione nei territori UE dei temibili bulgari e rumeni che, com’è noto, appena superano i confini verso ovest provocano invasioni di cavallette e morte di tutti i primogeniti. La realtà è che gli attuali governi temono che quando anche il nord crollerà economicamente (e lo farà, eccome se lo farà) le persone se la prederanno, giustamente, con loro. Perciò mettono le mani avanti dando la colpa ai migranti, ladri di lavoro e di welfare.
Un film già visto. E che diventa più penoso ad ogni visione.
L’Europa doveva essere il luogo della libera circolazione delle persone e lo è sulla carta, ma nei fatti è una giungla che tollera zone militarizzate e un costante e considerevole aumento della povertà, il luogo in cui un cittadino comunitario può essere formalmente espulso e diventare nella pratica un clandestino. In questo senso l’Europa sta diventando un incubo, impietoso ritratto di quella farsa mondiale che è il Nobel per la Pace.
La virata verso la destra di ispirazione nazista era già a buon punto con la crisi ucraina, dove la sinistra europea, priva di riferimenti, o ha dormito o non ha capito una mazza arrivando ad appoggiare le peggior cose. La UE, in attesa che gli USA la tolgano dall’impasse (cosa non sia chiaro di “fuck EU” ancora mi sfugge), fa furbescamente la serva di due padroni: uno è Putin, erede perfetto del tiranno Stalin, pronto a chiudere i rubinetti del gas seminando il terrore nel continente, l’altro è il regime in continuità con la magnate Yulia Tymoshenko tenuto in piedi dal partito nazionalista Svoboda, gente che fino a ieri usava come simbolo il dente di lupo delle SS.
Dona Flor* aveva un marito focoso, così tanto che non gli bastava la moglie e andava a prostitute: quel marito è il fronte Le Pen, espressione implacabile delle urne francesi a cui i piddini fanno tutti tronfi le pernacchie come se loro avessero votato Salvador Allende.
Rimasta vedova dona Flor sposa un farmacista, lontano dalle passioni e restio ai cambiamenti, che la introduce nei salotti borghesi di Bahia: quel marito è l’asse PSE-PPE, politicamente immobile e immutabile, il cui unico pregio negli ultimi 10 anni è stato quello di aver dato ai reazionari il piacere onanistico di chiamarsi moderati.
Lo spirito di Vadinho, il primo marito, torna sulla Terra per stuzzicare sessualmente dona Flor, annoiata da un matrimonio solido ma fin troppo austero. Allo stesso modo i neofascisti vanno all’assalto di un sistema antiprogressista che ha esasperato le masse. Ma le due formazioni, pur combattendosi a parole, vivono in simbiosi: il fascismo si nutre dell’ignavia delle larghe intese, le quali a loro volta vivono dei voti di chi teme lo spettro degli estremismi.
C’è ben poco da rallegrarsi vista la vittoria dei mille volti della destra in Europa, perciò mi auguro che ai piddini passi in fretta la sbornia e si ricordino con chi e come governano sia il PD che il PSE invece di avventurarsi in ridicoli confronti col PCI. Grillo nel suo inutile discorso post-elettorale da vecchia carampana ha detto una cosa sensata: siamo un popolo di conservatori. Il problema è che il duo Grillo/Casaleggio è rivoluzionario quanto un disco di Alessandra Amoroso perciò domenica tanto valeva votare il carrozzone originale e affidare tutto nelle mani di Matteo Renzi, il nuovo unto del Signore.
Amen.
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* “Dona Flor e i suoi due mariti” è un romanzo di Jorge Amado del 1966.