Il #voto è un diritto o un dovere?

Nel 2009 l’affluenza media per le elezioni europee fu del 43% con Polonia, Lituania e Slovacchia ferme sotto il 25%. Quest’anno ancora la Slovacchia ha fatto registrare il record negativo (solo il 13% degli aventi diritto ha votato), con una media continentale ferma al 43%.

Si dice che chi non vota è disinteressato alla politica, ama la delega, è corresponsabile dello sfascio del Paese, si sono anche avanzate proposte di restaurazione di una vecchia legge già dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale che sanzionava il non adempimento del voto.* Da parti quasi diametralmente opposte si parla invece di dare dignità al non-voto per esempio lasciando vuote delle sedie in Parlamento, idea affascinante ma forse poco pratica.

Ma che cos’è l’astensione? Un fenomeno che interessa da tempo circa la metà degli aventi diritto (e quasi l’intera popolazione in alcuni Paesi) meriterebbe molto più di una guerra di citazioni prese da aforismario.it.

Nell’apatia politica (diversa dal non-voto di protesta) non rientrano solo ed esclusivamente i disinteressati per scelta. Secondo uno studio svolto negli Stati Uniti su 5 persone con un reddito basso solo 2 si recano a votare, mentre fra i più abbienti votano 4 su 5. In generale è possibile inquadrare il non votante in categorie sociali marginali, tagliate fuori dalla vita politica: donne anziane, disoccupati e inoccupati, abitanti dei piccoli centri del sud (inteso anche come sud ed est Europa).

La nostra è almeno in questo senso la degna erede della democrazia ateniese, un governo dei ricchi a cui avanzava ampiamente il buon tempo di fare politica. Con tutte le conseguenze del caso: gli emarginati non hanno nessuno che li rappresenti e si perde interesse anche a creare rappresentanza, per il semplice fatto che il non-voto nel nostro sistema conta quanto il due bastoni quando briscola è denari. I partiti tendono ad assomigliare all’elettore attivo piuttosto che andare, come diceva Berlinguer, casa per casa e farsi portatori delle istanze degli emarginati. In questo senso è interessante il lavoro svolto materialmente in Grecia da Alexis Tsipras. Con intenti ideologici opposti è rilevante anche l’esperienza di Marine LePen che ha fatto del partito parodistico del padre un partito altrettanto cialtrone ma con una più massiccia affezione popolare, che ha evidentemente coperto i buchi della gauche di Hollande e ancor più di Mélenchon.

In un Europa che vede aumentare la povertà e la marginalità sociale un invito spettacolarizzato al voto, con le campagne sui social network o nella tv commerciale, e la periodica proposta di re-introduzione dell’obbligo, ci mostra una politica ormai completamente distaccata dalla realtà sociale. Io credo sia invece prioritario ribaltare il concetto fondante del voto da dovere a diritto, intervenendo materialmente nell’emergenza sociale sul modello greco e culturalmente nel dibattito sul voto, andando a smontare la convinzione di un astensionismo sempre colpevole e deprecabile, perché non lo è quasi mai, sin dai tempi di Pericle.


*L’art. 115 del Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957 recitava così: “L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco. L’elenco di coloro che si astengono dal voto senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale. Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta.”