L’Unità, il giornale fondato 90 anni fa da Antonio Gramsci, da oggi non è più in edicola. Il merito, manco a dirlo, è di chi, dal 2008 ad oggi, ne ha ripudiato i valori e la storia per interessi di potere (manco di partito).
La prima volta l’Unità fu chiusa da Mussolini, ma eravamo in dittatura; la seconda fu chiusa grazie alla dirigenza dei Democratici di Sinistra (leggi Veltroni e D’Alema, sempre loro); oggi chiude grazie all’indifferenza di chi lo ha usato in questi anni come gazzettino delle proprie correnti.
L’Unità degli ultimi anni era un giornale illeggibile: l’emorragia di lettori, iniziata con il siluramento dei due direttori che avevano risollevato il giornale (Colombo e Padellaro, oggi al Fatto) va ricercata in una linea editoriale appiattita completamente sulla segreteria Bersani. Claudio Sardo è stato un disastro, ma Concita De Gregorio non ha fatto meglio (ancora ce la ricordiamo l’Unità formato chiappa).
Ma al di là dei problemi di natura editoriale gravi, resta il problema politico di fondo: il Partito Democratico, che ne usa il nome per le proprie feste, ha spolpato vivo il giornale di Gramsci e ora lo abbandona al suo destino. Preferendogli Europa, il giornale della Margherita.
Il nome del quotidiano fondato da Gramsci va bene per rimpinguare le casse delle feste (confrontate i fatturati delle “feste democratiche” con quelli delle “feste de l’Unità”, capirete perché Renzi ha parlato di “brand”), ma non per rivendicare la propria appartenenza a una gloriosa storia, che ha inizio con Gramsci e finisce con Enrico Berlinguer.
Nel trentennale della morte del più grande leader della sinistra italiana il PD dà il colpo di grazia a l’Unita. Chapeau. Ma devo dire che lo spettacolo peggiore sono i responsabili di questa chiusura che si rammaricano della chiusura. L’avete voluta voi, signori, e mi sto rivolgendo anche ai militanti del PD: quando andavate dietro alla vostra dirigenza che nella fase genetica ha cancellato ogni riferimento a quella storia, a quella tradizione, salvo ritirarla fuori oggi, con sette anni di ritardo, per chissà quale progetto di riabilitazione politica personale.
Siete voi che acriticamente avete sostenuto la vostra scellerata dirigenza (e continuate a farlo, da buoni trinariciuti) i veri responsabili di questa morte annunciata: con il vostro voto, con la vostra rivolta morale anzitutto, potevate ribellarvi a questo spettacolo indecente. Invece siete rimasti zitti, al limite dell’indifferenza, e avete poi una bella faccia tosta a citare Gramsci a tal proposito su facebook, quando vi aggrada.
Il marchio (o il “brand”) de l’Unità non appartiene alla Nie, non appartiene alla dirigenza PD: appartiene al popolo di una Sinistra che non si è mai data per vinta. Ma quella storia è stata ripetutamente stuprata e svuotata di significato negli ultimi vent’anni. E la colpa è soprattutto di quel popolo ancora convinto che i dirigenti abbiano sempre ragione. E invece i dirigenti sbagliano e voi col vostro silenzio vi siete resi complici. Siatene consapevoli.
Forse è un bene che l’Unità così come è oggi chiuda: si spera possa risorgere per la terza volta, dalle ceneri della precedente, finalmente rinnovata e finalmente leggibile. Ma per farlo deve tornare libera e indipendente, lontano dal PD, vicino al cuore di un popolo che è ancora convinto che per dire qualcosa di Sinistra non sia necessario inseguire la moda corrente, e molto di destra, dell’ennesimo uomo della Provvidenza, stavolta di lingua fiorentina, che ci salverà.
Ci sono spazi per far rivivere quella storia, quella tradizione, quella passione: basta volerlo. Ma la domanda è: lo vuole il popolo de l’Unità, che in gran parte vota PD?