C’è una canzone, riproposta anche da band come i Modena City Ramblers e la Banda Bassotti, che a un certo punto fa così:
Del popolo gli arditi
Noi siamo i fior più puri
Fiori non appassiti
Dal lezzo dei tuguri.
Si tratta della celeberrima Figli dell’Officina, in cui recentemente alla frase “le bandiere rosse [comuniste] e nere [anarchiche]” è stato sostituito il più politically correct “le libere bandiere”. La canzone è di inizio anni ’20: nata come inno anarchico e antifascista sulle note di un vecchio canto militare, fu poi utilizzata anche dai resistenti comunisti.
Gli Arditi nacquero nel 1917 come antidoto strategico all’estenuante guerra di trincea, il motivo dominante del conflitto mondiale. Com’è noto essi furono anche i protagonisti dell’impresa dannunziana di Fiume, operazione militare controversa a cavallo delle due guerre ed esperienza politica con intenti liberal-socialisti (si veda la Carta del Carnaro), ma nella pratica irrimediabilmente autoritaria e imperialista.
Con il costituirsi dello squadrismo fascista all’inizio degli anni ’20, una parte certamente importante ma non maggioritaria degli Arditi che avevano combattuto durante la Prima Guerra Mondiale aderì al PNF, talvolta a fasi alterne. In contrapposizione a questa scelta, nel 1921, anno in cui fu scritta Figli dell’Officina, vennero fondati gli Arditi del Popolo, formazione inizialmente di reduci di guerra e dell’impresa di Fiume, d’ispirazione comunista e anarchica, che si opponevano al fascismo e, a livello assai più pratico, allo squadrismo, il quale operava già capillarmente in tutta Italia. Non a caso la bandiera di alcuni miliziani raffigurava un’ascia che spacca in due il fascio littorio. Antonio Gramsci appoggiò con convinzione la formazione degli Arditi del Popolo, come testimonia un suo articolo su L’Ordine Nuovo proprio del 1921, ma fu una voce minoritaria (così come su altre questioni nello stesso periodo) all’interno del Partito Comunista. Anche il PSI, ormai convinto della bontà del cosiddetto “patto di pacificazione” con Mussolini, lasciò gli Arditi del Popolo nel più completo isolamento.
Già nel corso della Prima Guerra Mondiale molti degli Arditi, tra cui Argo Secondini, mostrarono insofferenza verso le gerarchie militari, ben sintetizzata nel motto successivo “Arditi, non gendarmi!”, che è diventato anche il titolo di un bel libro sull’argomento di Marco Rossi. E se è ancora difficile interpretare la Prima Guerra Mondiale senza mistificazioni, lo è ancora di più uscire dalla mitologia fascista dell’arditismo, quella cioè degli eroi di guerra fedeli alla patria e automaticamente, a guerra finita, fedeli a Mussolini. L’arditismo che si oppose al fascismo non fu minoritario (si stimano tra i 20 e i 50 mila Arditi del Popolo, si veda in proposito il libro di Eros Francescangeli, cui vanno aggiunti i militanti della Guardia Rossa) e seppe trarre dall’esperienza della Prima Guerra Mondiale quella matrice rivoluzionaria che fu invece molto meno presente nella Resistenza. Si noti inoltre che gli Arditi del Popolo costituirono l’unica vera difesa “sul campo” del popolo dalle incursioni squadriste, come a Parma nel 1922.
Altra curiosità. Giovinezza, canzone simbolo dell’Italia fascista, fu in origine un canto goliardico, presumibilmente del 1909, ma nel 1921 venne pubblicata una versione del testo apertamente antifascista, quella a noi tristemente più nota è invece del 1922.
Un buon auspicio a 100 anni dallo scoppio della Grande Guerra è che non solo si ponga molta più attenzione sull’enorme portata storica che ebbe il conflitto – la fine degli imperi, il concetto di nazione, le rivoluzioni – e il prezzo che si dovette pagare per un tale cambiamento, ma anche che si dia finalmente un giudizio assai meno sbrigativo su chi vi fu coinvolto. Un giudizio indipendente dalla vulgata fascista che, in barba all’assioma tanto caro ai neofascisti che la storia la scrivono i vincitori, permea inesorabilmente tutta la nostra cultura.