La storia della Sierra Leone non è fatta di grandi condottieri e storici imperatori. Questi 70 mila chilometri quadrati di terra nel cuore dell’Africa equatoriale, venduti alla Gran Bretagna nel 1788 da un sovrano locale per farne una colonia in cui raccogliere schiavi affrancati e apolidi africani, hanno visto l’indipendenza solo nel 1961. Prima governatori e commissari inglesi, poi una serie impressionante di colpi di stato militari e relative dittature, fino alla guerra civile contro il Fronte Rivoluzionario Unito. Solo da pochi anni si tengono elezioni democratiche. Oggi il paese è tra i più poveri del mondo e martoriato dall’epidemia di Ebola, tanto che il governo ha dichiarato la settimana scorsa alcuni giorni di coprifuoco.
Nel frattempo, in Europa e negli Usa si guarda con preoccupazione alla diffusione del virus. A proposito, siamo sicuri che l’Occidente sia senza colpe in tutto ciò? Risponderete che una malattia non distingue europei e africani, ricchi e poveri, potenti e diseredati. Ma mi chiedo come sarebbe la situazione se la Sierra Leone avesse un sistema sanitario all’avanguardia, una classe politica preparata e una cittadinanza istruita ed informata. Il focolaio iniziale in Guinea si sarebbe sviluppato con la stessa virulenza in uno stato ricco e fornito di infrastrutture all’avanguardia? La malattia si sarebbe trasmessa così velocemente se la popolazione disponesse di adeguati servizi d’igiene pubblica? Probabilmente no. E se quelle zone dimenticate della terra si trovano nel degrado, la colpa è in gran parte dell’imperialismo occidentale.
Perché infatti uno Stato sia davvero indipendente non basta concedergli una bandiera, un inno e una costituzione. Serve soprattutto una road map che si ponga l’obiettivo di raggiungere una solida democrazia e l’autonomia economica, due cose che al capitalismo non convengono per niente. Laddove infatti governano i signori della guerra non ci sono diritti per i lavoratori. Se poi l’alternanza al potere è garantita solo dalle armi non si può pensare ad una continuità politica che garantisca la protezione dell’economia locale dalla speculazione. Dunque permane la povertà assoluta, prospera lo sfruttamento, la presenza statale in materia di welfare, istruzione e sanità è impercettibile.
Proprio con tali mezzi in Sierra Leone la sudafricana Branch-Heritage continuava ad estrarre diamanti durante la guerra civile grazie alla protezione armata dei mercenari della Executive Outcomes e in Liberia quasi la metà della terra è nelle mani delle corporation. Il progresso e l’enorme sviluppo dell’emisfero settentrionale del pianeta si sorreggono sulla miseria dell’altra metà e la globalizzazione dei mercati sta solo peggiorando le cose. È chiaro che non si può andare avanti così. L’Occidente deve assumersi finalmente le sue responsabilità o le conseguenze saranno terribili. Possiamo scegliere se continuare su questa via e aspettare che il gigante imperialista collassi tra allucinati remake dell’11 settembre, epidemie e disastri ecologici, oppure rinunciare a questo spietato regime di oppressione.
Come? Potenzialmente esistono mezzi di enorme efficacia. L’Onu si liberi dal fardello del Consiglio di Sicurezza, con l’antidemocratico diritto di veto dei membri permanenti. Il Fmi e la Banca Mondiale concedano prestiti a condizione di adottare politiche di interventismo statale e democratizzazione, in luogo del tirannico liberismo attuale. È vero, sembra un’utopia. Ma, almeno per cominciare, non è necessario aspettare che questi tre guardiani di granito si muovano: è venuto il momento di realizzare una efficace cooperazione internazionale in cui l’Unione Europea rivesta un ruolo guida, prima di tutto fortificandosi e quindi intensificando i rapporti con entità simili (l’Unione Africana, ad esempio) cosicché anche queste a loro volta si consolidino per raggiungere un’indipendenza reale. La verità è che l’era degli Stati-nazione è finita. Se si vuole contare qualcosa, se si vuole cambiare il sistema globale, bisogna unire le forze, aderire alle lotte di emancipazione dei popoli dimenticati. Il futuro? Un governo mondiale fondato sulla pace e sulla giustizia. Come voleva Berlinguer.