Avreste mai pensato che le avventure del famoso ladro francese Arsène Lupin, di cui, forse, sono più note le trasposizioni cinematografiche, potessero rivelare un intento fortemente anticapitalistico e antiborghese?
Maestro del travestimento per eccellenza, Lupin, personaggio creato da Maurice Leblanc, pur discendendo da una famiglia aristocratica (nel suo albero genealogico figura, per via materna, persino il cardinale di Rohan, un potentissimo prelato del Settecento) si pone come un anticonformista, un ribelle. Egli si oppone infatti all’ipocrisia imperante nella società e nei salotti della Belle Epoque, lotta contro i rappresentati del potere e dell’ordine, tira giochi mancini ad affaristi senza scrupoli e deruba parvenus arricchiti. Lupin, anche se non proviene dal basso del corpo sociale, svela le bugie, le finzioni e gli inganni della società borghese, ricorrendo spesso a un’ironia ora beffarda ora cinica. Ogni suo gesto può considerarsi finalizzato alla derisione e alla parodia di una classe sociale che con tutti i suoi funzionari e politici corrotti rivela l’ipocrisia e l’avidità di coloro che detengono le leve del potere.
Ad esempio, in Arsène Lupin gentleman cambrioleur (Arsenio Lupin, ladro gentiluomo) del 1907, è soprattutto la prigione l’istituzione che viene beffeggiata e considerata come un prodotto del potere borghese e della sua attitudine a controllare, punire e emarginare. In un celebre episodio, il ladro riesce a fuggire con facilità dal furgone che lo sta riconducendo alla prigione della Santé per poi passeggiare tranquillamente lungo i viali di Parigi e ripresentarsi davanti al carcere, rivolgendosi beffardamente ai sorveglianti i quali non credono che lui sia Lupin. E ancora l’intento parodistico nei confronti dell’istituzione carceraria emerge in un altro episodio, l’affare Cahorn, quando il ladro, sorvegliato rigorosamente in prigione, riesce a rubare la preziosa collezione di quadri e gioielli del barone. Il trucco viene svelato da Lupin stesso all’ispettore Ganimard, il quale, nonostante consideri Arsène come il suo eterno rivale, ne prova rispetto ed è in un certo modo affascinato dai suoi travestimenti e dai suoi espedienti.
Ma perché Lupin, che proviene da una famiglia agiata e famosa, si accanisce con ironia sprezzante contro la società borghese e contro le sue istituzioni (salotti, prefetture, prigioni)? Da cosa nasce il suo essere ribelle che si traduce in instancabili trasformazioni, evasioni continue da un carcere all’altro, assunzione d’identità doppie e triple? Si potrebbero indicare due ragioni a riguardo. La prima è che Lupin fondamentalmente è un anonimo, un nessuno che vuole prendersi la sua rivincita. La madre aveva sposato un uomo proveniente dal basso del corpo sociale, un individuo qualunque che si guadagnava da vivere insegnando la scherma e la boxe, e per questo era stata diseredata. Lupin cresce covando sentimenti di vendetta e astio nei confronti di quella nobile famiglia che aveva scacciato la madre, più in generale nei confronti di una società, i cui cardini sono l’ipocrisia e la formalità. La seconda ragione è che Lupin vuole mantenere la sua autenticità e purezza, proprio lottando contro un secolo che ha fatto della copia e dell’omologazione i suoi punti di riferimento. Il ladro gentiluomo ruba sempre oggetti autentici ed è attratto solo da ciò che è unico. Nell’epoca in cui il capitalismo ha portato a un processo crescente di omologazione e standardizzazione, di riproduzione in serie di prodotti e merci, Lupin vede nelle opere d’arte l’ultimo rifugio dell’autenticità e della distinzione. Arsène è dunque un personaggio anticonformista proprio perché annienta la finzione con la finzione, smascherando, con la sua capacità di simulazione, gli intrighi di truffatori e di parvenus che si fanno passare come gente onesta e laboriosa e soprattutto mettendo in crisi i fondamenti della società capitalistico-borghese basata sulla standardizzazione delle merci e dell’identità.