Quando sentiamo parlare di revisionismo, ci vengono subito in mente le teorie di sedicenti storici che negano l’esistenza dei campi di concentramento, delle camere a gas e della Shoah. Tuttavia il revisionismo non si limita né si esaurisce nella negazione di un evento così traumatico e tragico come l’Olocausto. Il revisionismo, che si è affermato in particolar modo negli ultimi decenni, è anche l’insieme di quelle posizioni che tendono a negare gli aspetti innovativi e rivoluzionari di tutti quegli avvenimenti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanità e che hanno gettato le basi di una società più giusta ed equa, come, ad esempio, la rivoluzione francese e la rivoluzione russa. Ed è proprio il revisionismo applicato alla rivoluzione francese l’argomento di cui vorrei parlare in questo articolo.
Nel 2008 è stato pubblicata in Francia un’opera revisionista, di ispirazione cattolica e ultra-conservatrice, intitolata Il libro nero della rivoluzione francese (2008). Il testo, spesso privo di fondamenti scientifici, ha goduto di una grande diffusione e ha ottenuto un enorme successo di vendite, suscitando lo sdegno e le dure critiche di molti intellettuali francesi e di seri studiosi della Rivoluzione, tra cui Michel Vovelle, esponente della terza generazione della cosiddetta scuola marxista ed erede delle posizioni di Georges Lefebvre e Albert Soboul.
Lo scopo degli autori e degli “storici” che hanno partecipato alla stesura del Libro Nero, sotto la supervisione del frate domenicano Renaud Escande, è quello di dimostrare che con gli avvenimenti del 14 luglio 1789 vengono definitivamente annientati i valori positivi ed edificanti dell’ordine e della gerarchia tipici del Medioevo e dell’Ancien Régime. Secondo Escande, la presa della Bastiglia rappresenta la genesi di un nuovo mondo e di una nuova epoca in cui trionfano quei disvalori egualitari che porteranno poi l’umanità a sprofondare nel baratro dei totalitarismi e della società criminale, specialmente del comunismo.
Il ridimensionamento della portata simbolica della Bastiglia non rappresenta, comunque, una novità. Si tratta di una posizione comune a tutto il filone della storiografia conservatrice e reazionaria al fine di depotenziare i principali “miti di fondazione” dai quali sono scaturite le rivoluzioni della storia moderna e contemporanea. Ad esempio, già nel 1992, l’opera di Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, descrive la caduta della fortezza borbonica con dei termini molto simili a quelli che saranno poi utilizzati nel libro di Escande, tanto che si potrebbe ipotizzare di annoverare l’opera dell’autore italiano tra le fonti principali del Libro Nero. Messori associa la presa della Bastiglia alle altre “prese” rivoluzionarie, come la breccia di Porta Pia, che segnò la fine del potere temporale ecclesiastico, o l’assalto al Palazzo d’Inverno, che diede avvio alla Rivoluzione leninista. In ogni caso, l’obiettivo rimane quello di demolire l’immaginario encomiastico e celebrativo di tali simboli.
Gli autori del Libro Nero insistono particolarmente nel descrivere le sofferenze patite dai controrivoluzionari in prigione, spesso infarcendo i racconti con dei dettagli morbosi e strappalacrime allo scopo di diffondere la tesi secondo la quale gli ideali illuministi hanno in realtà portato allo scoppio di una Rivoluzione atroce e perversa. Nel testo, ad esempio, vengono approfondite in particolar modo e in ottica positiva le figure dei sovrani, i quali vengono riabilitati e raffigurati come dei “santi” monarchi riformisti e benevoli, vittime di una cricca di plebei atei e immorali. Il culmine viene raggiunto nel saggio di Jean Charles Roux dove l’autore descrive in modo estremamente drammatico le sofferenze patite dal piccolo delfino di Francia durante la sua reclusione al Tempio. Anche in questo caso, la verità storica cede spesso al racconto e alla finzione letteraria e nerrativa.
Come anticipato, la pubblicazione dell’opera di Escande ha suscitato critiche molto dure da parte di diversi intellettuali, soprattutto Michel Vovelle e gli studiosi appartenenti all’Istituto di Storia della Rivoluzione Francese, i quali rifiutano di considerare il Libro Nero come un testo storico e documentaristico e i quali ripristinano la verità storica relativa agli avvenimenti rivoluzionari.
Innanzitutto, per quanto riguarda la Presa della Bastiglia, Vovelle difende la teoria, duramente criticata dalla tesi revisionista, secondo la quale si trattò di un assalto spontaneo. Riprendendo la posizione di Georges Lefebvre, Vovelle ribadisce che l’assalto alla fortezza borbonica, “spettacolare entrata in scena della folla parigina” rappresenta il punto culminante della Rivoluzione Francese e il simbolo della caduta dell’Ancien Régime. Molto più radicale, a tal proposito, la posizione di Hobsbawn che, in Le rivoluzioni borghesi (1962), evidenzia l’impatto senza precedenti della presa della Bastiglia sulla storia dell’umanità. Secondo lo storico inglese, l’assalto a quella prigione cambiò davvero e radicalmente il mondo, poiché esso fornì il modello a tutti i movimenti rivoluzionari successivi (si pensi, ad esempio, alla presa del Palazzo d’Inverno da parte dei bolscevichi) e anticipò le grandi correnti politiche dell’epoca contemporanea. Gli insegnamenti della rivoluzione francese, afferma Hobsbawn, sono infatti contenuti nel liberalismo, nel socialismo e nel comunismo moderni.
La diffusione di un’opera come Il libro nero della Rivoluzione ci dimostra quanto pericolose siano le posizioni del revisionismo storico che tendono a falsificare la realtà dei fatti in nome spesso di un’ideologia ultra-conservatrice e fanatica. L’antidoto a tale fenomeno, tuttavia, esiste ed è rappresentato dal lavoro minuzioso e dettagliato degli storici seri i quali confrontano incessantemente le fonti e i documenti nel tentativo di ricostruire il più fedelmente possibile gli avvenimenti che stanno alla base della nostra civiltà e della nostra cultura politica.