In questa settimana, Alberto Manzi, pedagogista, personaggio televisivo e persino scrittore, avrebbe compiuto 90 anni.
La sua storia è tra le più appassionanti della cultura italiana e non mi meraviglio se noto che di questa ricorrenza non ne ha parlato proprio nessuno. Manzi è ricordato, da un pubblico ormai “stagionato”, per la sua figura di insegnante/conduttore del programma RAI “Non è mai troppo tardi”, programma cult, “corso di istruzione per il recupero dell’adulto analfabeta”, durato otto anni, dal 1960 al 1968.
Ai tempi di questa trasmissione la RAI svolgeva un ruolo pedagogico verso la società: il mezzo televisivo non era solo intrattenimento ma soprattutto cultura, unità e lotta all’analfabetismo.
Vivrei su Marte se non dicessi che oggi ci sarebbe bisogno di idee del genere contro l’ignoranza dilagante di questi ultimi tempi. Giovani e adulti, genitori e figli. Per non parlare della scuola: molti insegnanti usano metodi ormai vecchi, in alcune scuole si usa ancora il “voi” e, ad esempio, i maestri d’inglese, conoscono un sacco di lingue tranne l’inglese. Conoscono poco il computer e i mezzi di comunicazione, creando un distacco troppo largo con i ragazzi.
Penso che gli insegnanti che davvero potrebbero cambiare le sorti incerte delle nuove generazioni, sono costretti a restare a casa, precari, a scapito di altri maestri che, magari, vorrebbero anche andare in pensione, ma non possono farlo perché “l’economia non ce lo consente”.
Auspico una scuola che prenda come simbolo la figura di Alberto Manzi. O è troppo tardi?