Negli ultimi tempi si sente parlare molto del carcere quale istituzione punitiva, anche in relazione alla triste vicenda di Stefano Cucchi. Ma vi siete mai chiesti per quale motivo è nato il carcere, con quali scopi e quali finalità? Ma soprattutto la prigione è nata davvero per punire coloro che hanno commesso delle infrazioni o è stata creata anche con uno scopo di classe? Per rispondere a tali interrogativi, vorrei sottoporvi un testo molto celebre del grande filosofo francese Michel Foucault, colui che con le sue opere sulla nascita della prigione e della clinica ha contribuito a svelare i giochi di potere che hanno portato alla creazione delle istituzioni punitive o in cui vengono confinati i malati.
Nel suo celebre saggio Sorvegliare e Punire (1975), Foucalt definisce la prigione non solo come luogo dell’ordine o della disciplina, ma anche e soprattutto come spazio politico. Il filosofo fa notare che l’istituto carcerario si è diffuso e moltiplicato in Europa tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, come conseguenza delle rivoluzioni borghesi e di quella industriale. A cavallo tra Settecento e Ottocento si assiste in molti paesi alla nascita di nuove forme di illegalismo popolare: ad esempio, è contro il nuovo regime della proprietà fondiaria e della circoscrizione obbligatoria, instaurati dalla borghesia e dai notabili ora al potere, che si sviluppa un illegalismo contadino in Francia negli ultimi anni della Rivoluzione ed è contro il nuovo regime dello sfruttamento legale del lavoro che si sviluppano in Inghilterra gli illegalismi operai. I lavoratori si ribellano contro coloro che stabiliscono leggi e regolamenti a vantaggio dei propri interessi, contro i proprietari terrieri e gli imprenditori che si alleano tra loro e fanno proibire gli scioperi, contro gli industriali che moltiplicano le macchine e allungano i turni. Il nuovo illegalismo popolare si manifesta sotto forma di luddismo, assenteismo e abbandono del posto di lavoro, organizzazione di manifestazioni e scioperi, frodi sulle materie prime e vagabondaggio. Questi processi contribuiscono alla grande paura nei confronti di una plebe che la classe ora al potere inizia a considerare criminale, sediziosa, barbara, immorale e isterica.
La borghesia propaganda tutta una serie di stereotipi sui lavoratori, diffondendo l’idea che il crimine è esclusivo di una sola classe, il proletariato, che i malfattori provengono quasi tutti dal basso del corpo sociale, che la legge deve essere fatta da alcuni privilegiati, appartenenti alla classe dominante, per giudicare il popolo e che ci debba essere una categoria speciale preposta all’ordine, espressione di chi detiene il potere, al fine di giudicare e sorvegliare un’altra preposta al disordine. Tutto ciò che non è borghese viene ora percepito come alterità, come un pericolo, un ostacolo da rimuovere e neutralizzare: operai, contadini, vagabondi, prostitute devono essere reclusi e controllati, resi docili e produttivi, perché potenzialmente pericolosi, nevrotici e criminali.
La prigione deve dunque servire per confinare, emarginare e annientare tutti coloro che rappresentano un pericolo e una minaccia per il potere della classe borghese ora al potere. Questo spiega la definizione che Foucault dà della prigione come costruzione architettonica, politica, sociale e culturale di classe. Il carcere è una costruzione borghese, si configura, cioè, come uno strumento di potere politico e di controllo sociale da parte di questa classe al fine di neutralizzare tutto ciò che è di ostacolo o di impedimento nell’esercizio dell’autorità. E proprio perché legata a un discorso politico e ideologico, la prigione è destinata al fallimento.
Secondo l’autore, lo scacco dell’istituto carcerario dipende dal fatto che esso non è realmente finalizzato all’emendamento del condannato, ma alla reiterazione della criminalità e degli illegalismi. Foucault spiega che il fine ideologico della classe dominante è che il carcere continui a produrre delinquenza per alimentare l’idea che il criminale è un pazzo ribelle proveniente dal basso o dalla classi sociali più deboli. Le classi borghesi hanno bisogno cioè di diffondere lo stereotipo del proletario malfattore che infetta e attenta alla salute e all’integrità dell’organismo sociale e il carcere, invece di combattere il crimine, viene finalizzato alla creazione di un illegalismo chiuso, cioè alla produzione di altra delinquenza utile alla borghesia per rafforzare la propria posizione e incolpare la classe operaia o il sottoproletariato.
La riflessione di Foucault mi sembra molto utile per capire che dietro a determinate istituzioni di controllo o di sorveglianza vi è sempre una ragione legata agli interessi politici, economici e culturali della classe o del gruppo che si trova a detenere le leve del potere.