La cosa straordinaria di questo paese è che oramai bisogna aspettare le indagini della magistratura per far sì che la politica (rigorosamente con la p minuscola) faccia pulizia al suo interno, svegliandosi dall’apparente torpore morale e civile in cui sguazza da oramai un trentennio. Personaggi che in un qualsiasi paese normale sarebbero tenuti a distanza di km da un uomo pubblico, diventano assidui conviviali a cene, feste, incontri pubblici. Perché si è innocenti fino al terzo grado di giudizio, quindi se non emette sentenza la Cassazione, si può serenamente far finta di nulla, salvo poi cadere dal pero quando scattano le retate, come quella che a Roma ha portato in carcere 37 persone nell’ambito dell’inchiesta “Mondo di mezzo”, dove sono indagate a vario titolo 100 persone.
Tra queste anche l’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno che ha candidamente ammesso “ho sbagliato a scegliere la squadra“, non avendo ancora compreso che è stata “la squadra” (o meglio, l’associazione mafiosa) a scegliere lui. E francamente sono anni che fior fiore di giornalisti raccontano delle consorterie criminali politico-mafiose a Roma (l’ultimo, Lirio Abbate poche settimane fa), nell’indifferenza generale. Soprattutto nell’indifferenza dei leader politici e dei cittadini: i primi dovrebbero evitare che certi figuri, anche se gran collettori di voti, vengano candidati; gli ultimi, con il loro voto, avrebbero il dovere di spezzare il gioco politico-mafioso.
Ma questo non accade. Perché? Perché anche quei cittadini che si lamentano dalla mattina alla sera che “sono tutti corrotti”, “sono tutti ladri”, alla fine finiscono per avvantaggiare il network criminale, che ha una triangolazione fissa: il politico corrotto, che fornisce l’appalto all’imprenditore colluso, che a sua volta dà il subappalto al clan, che ringrazia con pacchetti di voti al politico. Pacchetti di voti che pesano, perché il cittadino che dà il proprio voto in cambio di favori la preferenza la esprime, mentre il cittadino nauseato da un certo modo di fare politica no, quindi alle organizzazioni mafiose bastano anche poche centinaia di voti per eleggere i propri referenti nei consigli comunali.
Non andare a votare e, quando ci si va, non esprimere la preferenza dà un vantaggio strategico al network criminale, di cui “Mafia Capitale” è solo uno dei tanti esempi. C’è una foto, pubblicata su l’Espresso, che spiega meglio di tante analisi politiche il degrado culturale di questo paese: in televisione volano gli stracci, si scannano su tutto, poi subito dopo vanno a cena, destra e sinistra, coop rosse e fondi speculativi, e si dividono la torta degli appalti, insieme alle cosche. Altro che eredi di Berlinguer, altro che “modello emiliano” fiore all’occhiello del buongoverno: oramai l’Emilia Romagna è una delle regioni con la più alta concentrazione di organizzazioni mafiose d’Italia, che operano in simbiosi con il sistema delle cooperative rosse.
Come diceva Giovanni Falcone, “Non è necessario essere dei criminali per avere la mentalità mafiosa“: e il problema dell’Italia, paese più corrotto d’Europa, non è tanto la pervasività territoriale delle organizzazioni mafiose, pur preoccupante e dilagante nell’indifferenza di politica e cittadinanza passiva, bensì la pervasività sociale e culturale della mentalità mafiosa, che ha messo radici in tutto l’Occidente “sviluppato” e civile: la ‘ndrangheta, in particolare, è presente in tutti e cinque i continenti e fa affari sulla parola con centinaia di gruppi criminali che consumano a poco a poco la democrazia, trasformandola in un vuoto simulacro di retorica elettorale.
Qui sta il problema. E’ l’egemonia culturale che ha acquisito la mentalità mafiosa in tutti i campi della vita sociale ad aver svuotato di senso la democrazia, non solo in questo paese. E questa egemonia si può combattere e si può sconfiggere solamente contrapponendogli una cultura diversa, fondata sulla giustizia, sulla solidarietà, sull’uguaglianza, sul rispetto degli altri. Perché il problema di oggi è che la cultura dominante, quella capitalista, è infarcita di parole d’ordine che sono perfettamente complementari alla mentalità mafiosa, che infatti dilaga in quei settori “illuminati” e “avanzati” dell’economia. Perché se la politica si fa corrompere, è anche vero che gli imprenditori decidono di corromperla e di fare affari con i mafiosi.
Il quadro è da far tremare le vene ai polsi. Non c’è più quindi speranza, non si può far nulla? No, si può sempre far qualcosa, anche nel proprio piccolo, cominciando a imporre a se stessi uno stile di vita in antitesi con quei valori dominanti e con quella cultura criminale. E diffonderlo, perché la gente ha bisogno di esempi di onestà e coerenza per poter credere che un mondo diverso è possibile. E non ne serve uno per tutti, devono essere tutti che danno l’esempio a tutti. La civiltà democratica che si organizza contro l’inciviltà mafiosa. Perché, sempre come diceva Falcone, “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine.“