Solo otto anni separano I Promessi sposi, la cui pubblicazione nella versione definitiva data 1842, dal Manifesto del Partito Comunista che, come tutti sappiamo, fu pubblicato nel 1848. Inutile dire che queste due opere segnarono, ovviamente per motivi diversi, il panorama culturale, sociale e politico dell’Ottocento facendo sentire la loro grande influenza anche sul Novecento. Nonostante la vicinanza cronologica, però, questi due testi non potrebbero essere più diversi e non, come potrebbe pensare ingenuamente qualcuno, perché si tratta di due generi ovviamente differenti ma perché mentre I promessi sposi celebrano quell’ideologia liberale e cattolica che confluirà poi nei partiti conservatori del Novecento, il Manifesto del Partito Comunista esalta, al contrario, quell’ideologia socialista che confluirà poi nei partiti socialisti e comunisti del ventesimo secolo. In altre parole, possiamo confrontare queste due opere, seppur diversissime poiché uno è un romanzo e l’altro un manifesto politico, perché rappresentano i capisaldi culturali di quelle ideologie che prenderanno vita nelle associazioni politiche del Novecento.
Non sussiste nessun dubbio sul fatto che i Promessi Sposi siano un’opera profondamente antisocialista. Questo aspetto emerge soprattutto nella parte del romanzo dedicata alla rivolta milanese del pane e all’assalto dei forni da parte della folla. Manzoni descrive la massa in maniera negativa, attribuendole quegli stessi epiteti utilizzati dalla classe borghese per descrivere il proletariato. Per l’autore dei Promessi Sposi, la folla è una massa amorfa, senz’anima, mossa dall’istinto della conservazione; incapace di utilizzare la ragione, assetata di sangue, essa compie solo atti violenti. In altre parole, la folla è una massa isterica, irrazionale, imprevedibile e come tale rappresenta un elemento di destabilizzazione rispetto alla conservazione del sistema. Ed è proprio qui il punto cruciale dell’ideologia manzoniana. Manzoni denuncia nel suo romanzo le ingiustizie del sistema politico e economico ma condanna in modo fermo qualsiasi tentativo di rivolta o di rivoluzione sociale poiché egli crede fermamente che l’uomo debba accettare le gerarchie e lo Stato sociale, seppure ingiusto.
La sua visione, quindi, riflette la teoria cattolica secondo la quale l’individuo più debole, il povero, il contadino, l’operaio devono accettare l’esistenza delle diverse classi sociali, non metterle in discussione, e affidarsi solamente a Dio, alla Provvidenza, che è il vero principio su cui si basa l’universo, e l’unica forza in grado di riscattare l’umile agli occhi del potente. In tale ottica, ogni rivoluzione socialista assume un significato negativo agli occhi di Manzoni poiché ciò comporterebbe la distruzione di quello status quo che, seppur criticabile, deve essere accettato da ogni buon cristiano. Ciò non significa, e voglio essere chiaro su questo punto, che l’individuo non possa agire con razionalità e buon senso, ma per Manzoni la ragione, quello stesso principio illuministico che ha portato a un evento come la Rivoluzione francese criticato dall’autore dei Promessi Sposi soprattutto nella sua fase giacobina, è comunque insufficiente e deve essere guidata dalla fede o dalla Provvidenza. In tal senso possiamo dunque considerare il più importante romanzo della letteratura italiana come un’opera che dipana un’ideologia liberal-conservatrice.
Un’altra riprova del fatto che Manzoni sia antisocialista ci è data dalla figura di Renzo: nel momento in cui il Tramaglino abbraccia la causa della rivolta del pane, si erge a oratore incitando i “compagni” a proseguire la ribellione anche l’indomani, egli si mette nei guai, diventa un facinoroso, entra a far parte di quella massa isterica e irrazionale che l’autore condanna fermamente. E per questo Renzo che ha abbracciato la causa “socialista” della rivolta non ci può essere che la punizione, vale a dire l’arresto da parte delle autorità costituite. Nel momento, invece, in cui Renzo si allontana dagli avvenimenti politici, decide di non prendere più parte alle rivolte, accetta lo Stato sociale con le sue ingiustizie e si affida solo alla Provvidenza, allora assistiamo a una sua rinascita, a una sua evoluzione che viene consacrata con l’attraversamento dell’Adda.