Si ha la sensazione, in questi giorni, che avere paura sia qualcosa di eticamente corretto. È quantomeno scontato che questo sentimento si stia diffondendo a macchia d’olio fra tutti noi e che sia naturale provarlo. Provare, sì, e sentire la paura attanagliare vite che fino a qualche istante prima erano sicure o no in una salda tranquillità non deve essere facile per noi donne e uomini del ventunesimo secolo, abituati o ad accantonare paure viscerali o a crearne di nuove e sempre più tremende.
E gli umori, spesso maggioritari, che innalzano il timore e la paura verso tutto e verso tutti a stati d’animo considerati eticamente corretti ci fa ripiombare nella contraddizione antica che è in seno a questa stramba società occidentale di cui oggi ci facciamo strenui difensori solo in nome della morte di alcuni vignettisti che prima, per la loro opera, venivano messi in croce quotidianamente dai censori della nostra libera e civile Europa.
Avere timore, non averlo. Tollerare, non tollerare. Accettare, non accettare. Ignorare, non ignorare.
A partire da quel disastroso 11 settembre 2001, noi civili uomini figli della Rivoluzione francese, abbiamo scoperto il nostro ennesimo nuovo nemico, il mondo islamico (radicale). Un mondo che fino a qualche anno prima di quella data che tutti abbiamo bene in mente – chi vi scrive ricorda ancora la paura provata ad appena cinque anni – che ci era anche alleato nella lotta contro nemici ormai tramontati: Afghanistan, Iraq, Iran, tutti territori marchiati innegabilmente dal matrimonio fra il civile Occidente e l’Islam radicale. E poi ancora oggi, Arabia Saudita, Emirati, califfati vari sono fedelissimi alleati degli Stati Uniti d’America. Giusto per ricordare a chi legge che gli alleati sauditi triturano le mani a chi è in possesso di una Bibbia o a chi è ateo.
Dov’è allora la paura verso questo oscuro e tremendo nemico compie esattamente le stesse cose che non solo fino a poco tempo fa noi stessi facevamo, ma che ancora oggi nostri amici e alleati continuano a fare?
La paura è soltanto verso un totalitarismo – quello islamico che ha attentato a New York e a Parigi –, che è sovvertitore di un ordine in cui noi giochiamo un ruolo chiave, oppure è anche verso un totalitarismo che di quest’ordine fa parte insieme a noi?
Oggi l’imperativo comune è quello di imporci la paura, perché la paura verso fenomeni come questo è d’obbligo, è anzi una paura etica: è stato compiuto un attentato alla sacralità dell’Occidente e, come tale, va perseguitato in ogni modo, usando ogni mezzo possibile. E ora che Charlie Hebdo è diventato sinonimo di libertà, ora che tutti si sono stracciati le vesti per rincorrere il Je suis Charlie, il re è nudo, per noi civili occidentali: abbiamo covato la serpe in seno alla nostra stessa cultura. Abbiamo sempre avuto paura del diverso di turno, sia dentro che fuori di noi, trovando escamotage e feticci che potessero rappresentare quanto meglio chi siamo noi veramente, un po’ come in ‘Cuore di tenebra’ di Conrad, dove a fuori di portare civiltà si è sempre e solo schiavizzato e barbarizzato. Da un giorno all’altro l’Occidente, reo di aver imbavagliato anche nel XXI secolo innumerevoli giornalisti, si è ritrovato in massa ad essere Charlie, giornale fieramente laico e antifascista che, con l’ipocrita marcia dei leader del “mondo libero” non aveva niente a che spartire. Russia, Turchia, Congo e tanti altri paesi non proprio leader per democrazia e libertà hanno sfilato nella marcia repubblicana di Parigi… per l’occasione avremmo potuto chiamare anche Breivik dalla Norvegia, lui che in nome del Dio cristiano ha ucciso 77 persone. Ecco che forse la paura verso il terrorista (islamico) non è che verso di noi, uomini e donne che desideriamo soltanto avere una libertà, quella di tiranneggiare su chi, per secoli, abbiamo additato come infedele, ed oggi come terrorista.
Al male reagiremo con più democrazia e più umanità.
Jens Stoltenberg