Non poche volte ultimamente ho sentito dire che l’Italia sta ritornando alla Prima repubblica, complice il progetto renziano del “Partito della Nazione”: una balena centrista, una forza antagonista di sinistra (la tanto invocata Syriza italiana?), una destra che comprenda l’area liberale fittiana e quella estrema di Salvini e della Meloni. In più il Movimento Cinque Stelle, che rischierebbe di sgonfiarsi velocemente in un contesto del genere. Il più delle volte si parla negativamente di questa prospettiva. Ebbene, non so quanto essa sia davvero cattiva. In fondo la Seconda repubblica è stata il trionfo del qualunquismo più becero. Il progetto bipolarista è naufragato e in ogni caso si sarebbe trattato di una presa in giro: il centro ha continuato a dominare, stavolta però senza alcuna valida alternativa. Almeno una volta c’era il Pci, con la sua diversità che lo erigeva a principale oppositore del predominio democristiano.
È proprio questo il problema principale del crollo di qualità e popolarità della politica moderna, la fine dei partiti anti-sistema. Da una parte ciò ha comportato il trionfo del populismo (Berlusconi prima, Grillo adesso, Salvini prossimamente), dall’altra ha ridotto l’arte del governo ad amministrazione del potere. La politica di oggi è miope: si chiede come agire in vista delle prossime elezioni, cosa che di per sé è anche giusta, ma non riesce a scrutare l’orizzonte. Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Quale ruolo desideriamo giocare nella partita della storia? Cosa intendiamo per “progresso della società”? La risposta, bipartisan, è un assordante silenzio. Già nel 1981 Berlinguer, in una straordinaria intervista con Eugenio Scalfari, denunciava questa situazione. La corruzione dilagante, il tramonto degli ideali, la dialettica come strumento di insulto e non di confronto: se qualcuno gli avesse dato ascolto, tanti danni alla nostra malandata democrazia sarebbero stati evitati. Ovviamente i tempi sono radicalmente cambiati rispetto ad allora. Berlinguer non fece in tempo ad assistere alla Perestrojka e alla caduta del Muro, ma credo che anche lui sarebbe stato d’accordo nel prendere la coraggiosa scelta di adeguare gli ideali che lo avevano sempre ispirato ad un ambiente politico stravolto all’interno e all’esterno. Per come si è evoluta la situazione, la fine delle ideologie è stata invece una sbornia. Per alcuni addirittura un sollievo.
Ma la notte brava della democrazia ha i suoi postumi: la dittatura del pensiero breve. L’azione politica deve essere supportata da una matrice filosofica che ne faccia da bussola. Le due cose non possono prescindere l’una dall’altra, o si rischia da una parte di sprofondare nel cinismo del potere fine a se stesso, dall’altra di crogiolarsi nelle utopie. L’idealismo pratico è il compromesso tra la volontà e la concretezza. E non può funzionare se, oltre che sui programmi, non ci si confronta su anche sulle tre domande scomode di cui sopra. Come si faccia, l’abbiamo dimenticato. Un tweet potrà esprimere efficacemente un punto qualsiasi di un programma elettorale, ma non la riflessione ideologica che si nasconde dietro una proposta di legge. Non pretendo che i politici diventino saggisti, ma che le avanguardie dei partiti (intellettuali, militanti, associazioni) facciano dibattito allargando i propri orizzonti. Lo scambio di idee è il primo passo verso la rivoluzione culturale. Tuttavia non può esserci rivoluzione se non comprendiamo che la politica non è l’esibizionismo schizoide e narcisista che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, ma un amore da alimentare giorno dopo giorno. Un amore che pretende rispetto per gli avversari, non insulti, barzellette e gestacci.
Forse qualcuno mi darà del vetero-comunista: obiezione, Vostro Onore. Lo sarei se proponessi di tornare a toni, temi e iconografie da anni di piombo, ma in tal caso avrei anch’io qualche problema di miopia. Il mondo, dicevamo prima, è cambiato tantissimo, perciò gli ideali vanno adeguati alla nuova realtà. Sarà sorpassato parlare di pianificazione, ma non di mutualismo. La dittatura del proletariato è acqua passata, eppure non si può dire lo stesso del socialismo democratico. Roba d’altri tempi è la lotta frontale tra borghesia e proletariato, oggi bisogna cercare l’unità di tutti i ceti progressisti. Se i pensieri lunghi sono scomparsi dalla politica, ritroviamoli: dipenderà da questi se verremo assolti o condannati dai nostri discendenti. E saranno giudici severissimi.