Talvolta sento dire che il capitalismo non finirà mai. Più che essere scosso da questa affermazione, ne sono incuriosito. È una visione religiosa dell’attuale sistema economico, in un pianeta unificato dai traffici di merci e denaro nel quale il capitale ha dimostrato ancora una volta la sua straordinaria capacità di adattamento. È comprensibile che a noi uomini e donne, la cui vita si estende ben poco rispetto all’immensità della storia, possa risultare molto difficile immaginare un mondo diverso. Certo, buona parte della colpa va attribuita agli errori del modello sovietico. Pensare di sacrificare i diritti umani in nome di un’astratta libertà futura è stata una pesante illusione, soprattutto perché l’esperienza ci ha insegnato l’insostenibilità dell’economia pianificata. Oggi la lotta si sposta su un terreno diverso, cioé proprio quello della capacità di adattamento. La soluzione dell’enigma consiste nel riuscire a trarre gli aspetti positivi da una situazione apparentemente senza uscita, allo scopo di volgerla a proprio favore.
La fine della guerra fredda ha effettivamente aperto l’economia capitalista ad interrogativi che, se prima potevano essere ignorati con il pretesto dello stato di guerra contro il comunismo, oggi impongono di essere affrontati. La responsabilità sociale ed ambientale delle imprese, l’importanza del mutualismo e la crisi del welfare state sono alcune di esse. La crisi mondiale ha demolito alcuni cardini su cui il blocco occidentale aveva basato l’offensiva finale all’Urss, la deregulation in primis. È su questa piattaforma che dobbiamo costruire un progetto rivolto specialmente alle prossime generazioni, facendo convergere i movimenti della società civile. Il terreno di coltura è senza dubbio l’attivismo politico: da un lato l’impegno quotidiano della militanza, che non è solo partecipazione alla vita di partito. Militanza è il volontariato, la cooperazione, l’associazionismo. Tutto ciò che l’impeto populista del renzismo nega, affermando che in democrazia le percentuali sono più importanti delle qualità politiche. Dall’altro una strategia riformatrice che ispiri la battaglia sul piano istituzionale, in continuità con la lunga storia della sinistra italiana. Perché il metodo della “terza via” berlingueriana, dopo la sconfitta del massimalismo, è divenuto l’unica alternativa possibile. La base e gli eletti si facciano sponda vicendevolmente, il che contribuirà al recupero di un rapporto tra cittadini e politica ormai smarrito da tempo.
Ma di quale base parliamo, ai tempi del riflusso nel privato? Se ieri era la coscienza di classe a catalizzare l’aggregazione dei cittadini, adesso bisogna contare sull’alleanza di tutti i ceti progressisti. In Italia il substrato sociale non manca. Siamo stati la culla del più grande partito comunista dell’Occidente e i suoi ideali ispiratori, nonostante i tentativi di rottamazione, sono ancora ben radicati. D’altra parte, ferme restando le critiche a Papa Francesco riguardo ad un certo oscurantismo sui temi etici, le sue invettive contro la brutalità del capitalismo sensibilizzano una parte importante dell’opinione pubblica italiana all’impegno umanitario e all’egualitarismo. Per tale motivo oggi più che mai è necessario chiamare a raccolta tutte le forze della sinistra per realizzare finalmente un grande compromesso storico, come quello che negli anni Settanta naufragò: se a quei tempi erano troppo forti gli interessi americani e la pregiudiziale anticomunista, oggi i tempi sono maturi. Certo, rispetto ad allora il contesto è profondamente cambiato. Gli obiettivi finali della nuova alleanza dovrebbero essere diversi, cioè non più la difesa della democrazia politica da tentativi autoritari ma la sua espansione nel campo economico. Tuttavia la forza morale che ispirò l’avvicinamento tra Pci e Dc deve fungere da esempio per qualsiasi piano politico futuro.
Il punto di contatto tra queste due grandi tradizioni si trova nell’incontro tra il socialismo democratico e l’economia civile, i presupposti della cui validità sono economici e culturali. Il rispetto dell’iniziativa privata e la promozione dei valori della mutualità sono infatti perfettamente adeguati al tessuto di piccole e medie imprese, buona parte delle quali cooperative, su cui poggia l’economia italiana. Inoltre l’attenzione particolare per la realizzazione della persona investe il pensiero italiano da secoli, a partire dall’umanesimo. Non a caso l’economia civile si sviluppa a partire dal pensiero illuminista, il cui influsso ha toccato anche la rielaborazione nostrana del marxismo. Del resto, se noi lottiamo per la libertà dell’essere umano dallo sfruttamento economico, non possiamo ammettere che essa stessa venga schiacciata dallo Stato.
Lavorando uniti sarà possibile realizzare una rivoluzione sociale pacifica e democratica, in cui gli esseri umani siano sempre più importanti del denaro e la logica del profitto ceda di fronte all’eguaglianza e alla giustizia. Ma dobbiamo compiere un atto di coraggio: è il primo passo per realizzare il socialismo civile.