Me la ricordo bene quella campagna elettorale, perché è stata bellissima. La Moratti aveva speso milioni di euro per tappezzare Milano di manifesti e slogan, nel vano tentativo di recuperare un voto a destra che non aveva più. Poi c’era Giuliano, che veniva sfottuto da Grillo perché apparentemente fragile e un po’ sfigato, che però a differenza dei primi due si era girato periferie e città sin dai tempi della candidatura alle primarie e fu quello che fece la differenza: l’andare “casa per casa, strada per strada“.
Ricordo ancora il commento di Formigoni quando divenne il nostro candidato sindaco: “Oggi la Sinistra ha scelto il candidato che perderà le elezioni“. Pisapia “asfaltò” la Moratti, per dirla alla Renzi, con il 55% dei voti al ballottaggio, prendendosi tutte e 9 le zone e ottenendo lui da solo più voti della sua coalizione.
Dopo aver riempito in meno di due settimane due volte Piazza Duomo con più di 100mila persone, fu quasi naturale riversarsi in massa per festeggiare la vittoria: Milano liberata da vent’anni di centrodestra, durante i quali la ‘ndrangheta conquistava tranquillamente la città, mentre il bersaglio di Madama Letizia e leghisti al seguito erano immigrati e comunisti. Eravamo felici, c’era un entusiasmo e una forza in quelle facce, in quei volti, in quelle bandiere arancioni… persino il diluvio sulla manifestazione conclusiva prima del ballottaggio si trasformò in uno splendido arcobaleno, divenuto dopo il simbolo di tutta la campagna elettorale.
Sono state forse le due settimane più belle della mia vita, finalmente cadevano tutte quelle stupide pippe mentali che io trovavo (e trovo) incomprensibili a Sinistra e finalmente avevamo un sindaco che diceva: “Si può governare Milano senza rincorrere la Destra e andando orgogliosi dei nostri valori e della nostra storia“. Si poteva voltare finalmente pagina e attuare un programma avanzatissimo e progressista che sarebbe stato il modello per tutto il centrosinistra.
Poi arrivò la prima doccia gelata: la giunta fatta col manuale Cencelli, dove spiccava Bruno Tabacci assessore al bilancio. Alle nostre proteste e perplessità per una scelta che andava contro ogni promessa elettorale, le risposte dei trinariciuti yes-man che già s’erano imposti di difendere acriticamente ogni scelta di Giuliano fu: “Non capite nulla di politica, così ci prendiamo anche il centro“. Il centro non arrivò, Tabacci in compenso rese carta straccia il programma “arancione”, massacrando i suoi punti più avanzati, e l’entusiasmo mio e di tanti altri che credevano in Giuliano si affievolì. Non parliamo poi di Expo: forse fuori da Milano non sanno che, dopo una campagna elettorale incentrata sul “cambiamolo”, giunta e maggioranza di centrosinistra (eccezion fatta per la Federazione della Sinistra) hanno votato per quello licenziato dalla Moratti, perché non c’erano più i tempi tecnici per cambiarlo.
Poi, per carità, la città è decisamente meglio amministrata di prima e ci sono un sacco di cose che funzionano meglio (dai mezzi pubblici di notte nei week-end, ad Area C, passando per le misure di welfare o alla riqualificazione urbana di vie e piazze), ma quel grandioso capitale umano e sociale della c.d. “rivoluzione arancione” si è disperso a causa di una dose letale di machiavellismo. E questo non tanto per colpa di Giuliano, ma degli yes-man che lo hanno circondato, facendogli fare anche fior fiore di figuracce (la peggiore fu l’ordinanza contro i gelati dopo la mezzanotte, subito ritirata, nell’estate 2013).
Che Giuliano Pisapia non si sarebbe ricandidato, era una voce che negli ambienti più vicini al Sindaco girava già da metà 2013, ma francamente speravo non fosse così e che alla fine rilanciasse l’azione di governo e ricucisse la tela di quell’esperienza, perché ci avrebbe risparmiato appunto l’ennesima guerriglia tra correnti e fazioni partitiche per la poltrona, che francamente è qualcosa che mi disgusta.
Nel 2011 aveva vinto la bellezza dell’impegno politico e della passione civile e ideale di un popolo: spero che chi voglia raccogliere il testimone di Giuliano, lo voglia fare ripartendo da quel popolo, tornando “casa per casa, strada per strada“, fregandosene di alchimie politiche e di inutili tentativi di ingegneria partitica. Ma questo si vedrà da domani, oggi concedetemi l’amarezza per la fine definitiva di un sogno che ho avuto a vent’anni e per quell’arcobaleno sopra piazza Duomo che si è infranto.
In ogni caso, grazie Giuliano per averci provato.