“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.”
(Giovanni Falcone)
Ventitre anni fa, alle 17:58, Giovanni Brusca premeva il telecomando che fece saltare in aria l’autostrada di Capaci, uccidendo Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Oggi la stragrande maggioranza delle persone scenderà in piazza per ricordare il giudice, il suo coraggio, il suo impegno, mentre esponenti di partiti e istituzioni lo celebreranno a tutti i livelli, ricordandoci come il suo esempio li guidi quotidianamente.
Nessuno di loro però ricorderà quello che ha dovuto subire Giovanni Falcone (e in generale gli uomini del Pool Antimafia) in vita, che non è affatto dissimile da quel che hanno subito e stanno subendo i pm impegnati nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia, in primis Antonino Di Matteo. Poi, salvo gli addetti i lavori, che sono una minoranza della minoranza, la stragrande maggioranza di quelle persone torneranno nel disimpegno quotidiano contro la mafia esattamente come avevano fatto i 364 giorni precedenti.
Molto spesso non per colpa loro, ma per mancanza di quella consapevolezza che è generata solamente da una conoscenza approfondita e seria del fenomeno mafioso. Anche per questo due anni e mezzo fa ho ideato WikiMafia (costata 150 euro in 2 anni grazie al lavoro gratuito volontario di una ventina di giovani studenti come me) e ora ci siamo lanciati nella sfida di MafiaMaps, la cui campagna di raccolta fondi (leggi: crowdfunding) non a caso si conclude proprio oggi. La prima oggi è la prima e più grande enciclopedia sul fenomeno mafioso, mentre la seconda sarà la prima enciclopedia geografica su mafie e movimento antimafia a portata di smartphone.
La nostra principale missione è sempre stata quella di rendere semplice quello che era complesso e accessibile quello che non lo era, sfruttando le nuove tecnologie. Coniugando la profondità dei temi con la capacità di comunicarli in maniera chiara e semplice, per permettere a chiunque di affacciarsi allo studio del fenomeno mafioso. Perché il vero problema oggi, come metteva in luce chiaramente già Falcone quasi 25 anni fa, è che loro sono mafiosi 24 ore su 24, troppa gente invece si ricorda di essere antimafiosa solo agli anniversari delle stragi.
Perché alla fine essere antimafiosi, per davvero, costa fatica. Significa non farsi mai gli affari propri, non lasciarne scampare una alla propria coscienza, rifiutare di frequentare certi locali, certi giri, certe persone, andare sempre controcorrente (e quindi subire anche l’isolamento, non solo fisico, ma soprattutto morale)… essere antimafiosi, per davvero, significa essere cittadini, per davvero. Significa rifiutare un sistema, un tipo di società, un tipo di prospettiva che non include nessun’altra prospettiva se non lo status quo.
Significa essere intransigenti con chiunque, rifiutare ogni tipo di doppiopesismo, non guardare in faccia nessuno, tanto più se si aspira ad amministrare la cosa pubblica facendo politica, perché come diceva Sandro Pertini, “le solidarietà di partito sono complicità.” Significa rifiutare ogni compromesso con se stessi, grande o piccolo che sia, non importa causa. Essere antimafiosi costa fatica, perché costa fatica essere liberi. E la maggior parte della gente non vuole essere libera, perché la libertà comporta scelte e assunzioni di responsabilità: preferisce essere felice (o illudersi di essere tale).
Tra la libertà e la felicità Giovanni Falcone scelse la prima. E pagò molto. E la sua vita è stata solo l’ultima cosa che ha dovuto sacrificare per portare avanti la sua lotta, per essere un vero antimafioso. Gliene dissero e gliene fecero di tutti i colori, subì valanghe di fango, tradimenti umani dolorosi, amarezze. Sopportò tutto. E non perché fosse un eroe, non era superman, era un uomo normale. Come ciascuno di noi aveva difetti e debolezze. La tendenza a mitizzarlo è il tentativo che fanno molti per giustificare il proprio disimpegno quotidiano: “Era un grande, nessuno più come lui”.
No, ce ne sono tanti come lui, in potenza. Ma per pigrizia o per paura o per inconsapevolezza restano fiori ipotetici che non si daranno mai al mondo. Eppure, qui sta la tragedia e per questo noi lavoriamo tutti i giorni, sfioriranno anche loro, ma senza essere sbocciati. E la mafia vince laddove i fiori decidono di non sbocciare. E per sbocciare, ci vuole coraggio.
Falcone aveva coraggio. Ma il suo coraggio consisteva nel fare, molto semplicemente, il suo mestiere. Con onestà. E con la consapevolezza che per ogni fiore che non sboccia, non ci saranno altri semi che germoglieranno. Ecco, per noi il modo migliore per ricordare Giovanni Falcone e tutti quelli che sono morti per la libertà di questo Paese è sbocciare.
Tutti i giorni. 365 giorni l’anno. Perché questo non è il paese dei Totò Riina, questo è il paese dei Giovanni Falcone, dei Paolo Borsellino, dei Carlo Alberto dalla Chiesa, dei Pio La Torre, dei Giorgio Ambrosoli.
E questa, per noi giovani, è motivazione sufficiente per essere fieri di questo Paese, per restare in Italia e continuare la loro lotta.