Proprio mentre sto scrivendo, nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24 e 25 ottobre del calendario giuliano) un gruppo di rivoluzionari prendeva d’assalto il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, ponendo fine all’impero secolare degli Zar e dando vita al governo rivoluzionario presieduto da Lenin.
Cent’anni dopo, a giudicare dalla stragrande maggioranza dei contributi “mainstream” sull’argomento, non mi sembra che l’evento sia stato compreso nella sua completezza (e complessità) storica e politica. Nel mare magnum dei favorevoli e contrari, è indubbio che, esattamente come accadde per la Rivoluzione Francese, anche quella Russa determinò un cambiamento radicale in tutto il mondo e non fu un caso fortuito, dovuto alla concomitanza con la Prima Guerra Mondiale: il Comunismo divenne l’ago della bilancia delle relazioni internazionali e delle vicende politiche locali.
Al di là delle pur interessanti questioni storico-politiche, tra cui la sconfitta dei menscevichi (ragionevolmente considerati fra i padri della moderna socialdemocrazia), a cui si rimanda a contributi più qualificati e decisamente più corposi, penso che a cent’anni da quei fatti vi sia ancora una questione irrisolta per quelli che si dicono o si sentono comunisti, o molto più genericamente “di sinistra”, nell’anno 2017.
Non è giusto e non sarebbe produttivo cancellare quanto di eticamente, politicamente e umanamente intollerabile fu fatto dal regime successivo alla Rivoluzione: disse già tutto quello che si doveva dire Enrico Berlinguer, ben prima che venisse giù il Muro di Berlino. Tuttavia, seppellire la portata storica e sociale di quel 7 Novembre 1917 è altrettanto demenziale: dietro ai Lenin e ai Trotsky c’era un popolo, di proporzioni immense, che credeva davvero nella possibilità di una società diversa, radicalmente diversa da quella che aveva conosciuto per generazioni.
Non è infatti condizione sufficiente che una grossa fetta della popolazione sia alla disperazione: la Rivoluzione non è un fatto puramente sconclusionato che prima o poi accade, ha un obiettivo, una filosofia intrinseca e un preciso andamento. Nel caso del pensiero marxista-leninista era la via che inevitabilmente si deve seguire per sconfiggere il dispotismo capitalista.
Per la Sinistra italiana rinunciare in maniera definitiva al ricordo e all’analisi della Rivoluzione d’Ottobre, perché all’origine di un sistema politico poi collassato su se stesso, è risultato estremamente deleterio. Toglierle infatti dignità storica per via della violenza successiva sarebbe come affermare che il beneficio che l’Europa (di ieri e di oggi) ha tratto dalla Rivoluzione Francese sia stato annullato dalla testa mozzata di Maria Antonietta (o da quelle di coloro che vennero definiti nemici della Rivoluzione durante il Terrore). La Russia di un secolo fa ebbe il coraggio non indifferente di dichiararsi libera dal modus vivendi del resto del mondo.
Negare che sia esistita la famosa “spinta propulsiva”, del cui esaurimento prese già atto Enrico Berlinguer negli anni ’80 con il famoso “strappo da Mosca”, sarebbe sciocco, visto che il governo sovietico mise in campo tutta una serie di cambiamenti epocali, quali la giornata lavorativa di otto ore, il diritto alle ferie pagate, la liquidazione, il diritto alla maternità, nonché sanità e istruzione gratuite e la promozione dell’emancipazione della donna e dell’uguaglianza tra uomini e donne, per fare qualche esempio. L’impulso di queste conquiste diede linfa a tutto il movimento socialista, determinando cambiamenti epocali anche nel mondo delle democrazie pluraliste borghesi.
C’è un passaggio in “Stato e Rivoluzione” in cui Lenin scrive parole che, a cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, suonano sinistramente attuali e forse spiegano meglio di qualsiasi altra analisi quello scollamento tra i partiti (o meglio, quel che ne rimane) della Sinistra e le esigenze reali del suo popolo:
Queste restrizioni, eliminazioni, esclusioni, intralci per i poveri, sembrano minuti, soprattutto a coloro che non hanno mai conosciuto il bisogno e non hanno mai avvicinato le classi oppresse né la vita delle masse che le costituiscono (e sono i nove decimi, se non i novantanove centesimi dei pubblicisti e degli uomini politici borghesi), ma, sommate, queste restrizioni escludono i poveri dalla politica e dalla partecipazione attiva alla democrazia. Marx afferrò perfettamente questo tratto essenziale della democrazia capitalistica, quando, nella sua analisi della esperienza della Comune, disse: agli oppressi è permesso di decidere, una volta ogni qualche anno, quale fra i rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà in Parlamento!
La forza della Rivoluzione d’Ottobre, ed è per questo che bisogna dirle “grazie”, stette proprio nella capacità di coltivare il sogno (non l’utopia) di poter costruire una società più giusta, egualitaria, libera. In poche parole, una società diversa. Che poi non sia successo per diverse ragioni storiche e politiche è un’altra questione. Quella di oggi è che se la Sinistra vuole ritrovare un proprio radicamento, se vuole evitare di riconsegnare, un secolo dopo, l’Occidente in mano alle forze reazionarie e oscurantiste (che assumono a volte la forma di miliardari prestati alla politica, altre volte quella di riedizioni radical chic di fascisti in doppio petto), se vuole insomma evitare di fare la fine che ha fatto in Sicilia, può fare solo questo: tornare a pensare una società in violento contrasto con quella attuale.
Ci abbiamo vissuto bene per decenni con la strizza che avevano i padroni dell’Unione Sovietica.
Enrico Caprioglio
Il problema è trovare il modo di fare rivoluzione con metodi democratici
E’ un ossimoro che non regge. Le “democrazie occidentali” sono autoreferenti e tendono ad irrigidirsi a qualsiasi cambiamento radicale proposto
Rivoluzione con metodi democratici? Scordiamocelo! Sarebbe quantomeno importatante far capire ai più che questa non è l’unica “società possibile” e dare la speranza di una più equa distribuzione delle risorse che riduca le disuguaglianze esistenti. Poi ci sarà sempre qualcuno che verrà a parlarci di vincoli di bilancio, di competitività delle imprese, del debito pubblico ecc. per rimettere le “cose a posto”.
Ma Berlinguer non prese le distanze dalla URSS? Preferisco la visione berlingueriana al dramma totalitario dell Urss
Tutto scritto nei” dieci giorni che sconvolsero il mondo” di John Reed , giornalista americano ,che racconta la cronaca i fatti del riscatto degli operai, contadini e degli ultimi alla ricerca di un mondo migliore.
https://m.youtube.com/watch?v=knzDT7-7HEg
Se non ci fosse stata la Rivoluzione d’Ottobre, probabilmente la Rivoluzione Anarchica Spagnola avrebbe avuto successo e avrebbe ispirato lei il movimento socialista mondiale, con risultati decisamente migliori.
L’anarchia è la non politica
È evidente che non sai di cosa parli, Alberto.
W LA RIVOLUZIONE D’ OTTOBRE…………W IL COMUNISMO…………!!!
Vincenzo Iacona