A 10 anni dalla vocazione maggioritaria di Veltroni Matteo Renzi corona il sogno di molti e intona il de profundis del Partito Democratico. Del resto, quel suo tanto sventolato 40%, usato come una clava contro qualsiasi tipo di dissenso nonché analisi delle successive sconfitte, in termini di voti assoluti equivaleva a un milione di voti in meno di quelli presi dal primo segretario del PD e addirittura un milione e 800mila voti in meno del massimo storico del Partito Comunista di Berlinguer. Altro che superamento delle Colonne d’Ercole: Renzi ha semplicemente dato il colpo di grazia a un progetto politico frutto di un decadimento culturale e politico partito da lontano.
Il dato è netto: non ha vinto “l’anti-sistema”, ha vinto chi stava fuori dalle larghe intese, che non diceva “io il Nazareno lo rifarei domani” o “siamo pronti a fare il governo con tutti se ce lo chiede il Presidente della Repubblica“. Ha vinto chi aveva un programma chiaro, netto e che su quello si è battuto nei due mesi di campagna elettorale e che provava a dare delle risposte che non fossero mera propaganda elettorale. Il M5S, paradossalmente, con i toni degli ultimi mesi è stato decisamente meno anti-sistema di Salvini, che pure era inscritto in una coalizione dove ognuno la pensava in modo diverso.
Il PD vince solo nei centri storici, votato dalla borghesia radical chic, e perde ovunque ci fosse il suo elettorato tradizionale: insomma, a 10 anni dalla fondazione del PD, nato per superare le debolezze dei Democratici di Sinistra travolti dalla questione morale dello scandalo Unipol, siamo tornati al punto di partenza, con la differenza che il centrosinistra è oramai una forza residuale della politica italiana (e la sinistra è decisamente sparita), ma soprattutto è senza popolo, senza identità, senza valori, immerso nella Questione Morale e il suo elettorato tradizionale lo rincorre coi forconi.
Liberi e Uguali è stato vissuto come cartello elettorale nato per portare in Parlamento alcuni dei co-protagonisti della disfatta degli anni precedenti: anche per questo ha perso. Non basta fare il verso allo slogan di Corbyn, bisogna anche avere la stessa storia di coerenza e aderenza a quegli ideali, nonché un movimento giovanile forte che ti sostenga (in UK è Momentum): a furia di far la spola tra i salotti televisivi la sinistra parlamentare ha perso aderenza col paese reale.
Colpa anche dei media e dei c.d. intellettuali, troppo presi dall’incensare l’uomo della Provvidenza di turno e a usare parole come “populismo” e “demagogia” tutto quello che non rientrasse nel mainstream: assieme a questa classe dirigente fallimentare dovrebbero andare a casa anche loro, che da cani da guardia del potere ne sono diventati quello da compagnia. Non solo farebbe bene al Paese ma anche alla professione.
Del resto, quale prospettiva di futuro e di rinnovamento hanno offerto a noi Millennials la classe dirigente attuale del centrosinistra? Nessuna. Per esempio, di fronte a candidature espressione della peggior idea di politica che si potesse avere, quella delle dinastie familiari e del clientelismo delle “fritturine”, in Campania avrei votato anche io per il Movimento 5 Stelle, con l’unico obiettivo di scardinare quel determinato sistema di potere venuto fuori dall’inchiesta di Fanpage, per la semplice ragione che era quello che aveva più chance di scardinarlo. Dato per altro confermato anche dall’analisi dei flussi elettorali: il granaio dei nuovi voti dei grillini viene dall’astensione e dall’ex-elettorato di centrosinistra.
Lo abbiamo detto un anno fa, quando abbiamo deciso di impegnarci con un nostro think tank di Millennials: da tempo non esiste più un cammino da riprendere. È tempo di iniziarne uno nuovo. E prima ancora di un partito oggi è necessaria una cultura della Sinistra aperta e moderna, che si liberi di quella forma mentis dello “spirito di Budapest” (che porta a credere fideisticamente nella figura del capo) e ricostruisca l’alfabeto ideale con cui rispondere a quel bisogno di sete e di giustizia che è maggioritario oggi tra i cittadini e che la Sinistra non rappresenta più, tanto che viene considerata un’etichetta vuota e il suo elettorato vota, nella disperazione di questi tempi, per il Movimento 5 Stelle.
Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini, che una volta ha scritto che “non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti“. Da questo lavoro difficile, complicato, bisogna ripartire.
I responsabili del disastro non possono pretendere ora di spiegarci che il popolo non ha capito: devono andarsene a casa, TUTTI. Hanno avuto la loro occasione, l’hanno sprecata. La Sinistra politica non esiste più, ma i motivi, le ragioni profonde dell’esistenza della Sinistra, quelle no, quelle ci sono sempre. Ed è su questo che noi giovani dobbiamo lavorare.
Le attuali macerie sono un’opportunità: non sprechiamola. Anche perché le contraddizioni dei due vincitori di queste elezioni, il M5S e la Lega, sono tutte lì, pronte ad esplodere. Al momento opportuno non potremo farci trovare impreparati, altrimenti la prossima volta la sconfitta sarà pesante il doppio.
In sintesi: siamo ufficialmente nella Terza Repubblica, non possiamo continuare a Sinistra con gli sconfitti della Seconda e della Prima.