La notizia è arrivata: Sergio Marchionne è morto. Non mi ero espresso sulla vicenda prima perché in certi casi è preferibile il silenzio. Quei commenti sprezzanti di chi lo odiava e quelli intrisi di ipocrisia di chi mostrava dispiacere per le sue condizioni mi hanno provocato un sincero sgomento, anche se oramai dovrei esserci abituato.
Nell’epoca dei social si è innescato un meccanismo tale per cui è si è bianchi o si è neri, non c’è spazio per il grigio, cioè per la persona umana, se è vero che nessuno di noi è perfetto. I sostenitori che vedono tutto bianco e anche le ombre emanano luce, i detrattori che vedono tutto nero e anche le luci vengono usate per far risaltare le ombre.
In questo teatrino vomitevole non c’è spazio per alcuna analisi seria, solo giudizi sprezzanti che rientrano negli oramai 240 caratteri di Twitter. Ci sarà il tempo, tuttavia, per fare analisi sul manager Marchionne. Quello che mi interessa oggi è la ferocia con cui è stato sostituito, il modo con cui se ne è parlato già al passato, il tutto per evitare di perdere qualche punto percentuale in Borsa.
Il Capitalismo è così: prima ti usa, poi ti getta via. Anche se sei un uomo potentissimo, osannato dai grandi della terra, padrone del destino di migliaia di lavoratori. Sembra che fumasse circa 100 sigarette al giorno, che dormisse 3 ore a notte e che trascorresse la sua vita più sugli aerei che in terraferma.
Ci sarà stato anche spazio per gli affetti, sicuramente, ma la sua vita è stata dedicata completamente al suo lavoro, che era fare gli interessi degli azionisti. E quello lo ha fatto benissimo. Improvvisamente però arriva la “livella”, come la chiamava Totò, che riporta alla dimensione di uomo anche il più potente degli uomini.
La parabola di Marchionne, in questo momento, penso sia da monito un po’ per tutti sul fatto che tutto il denaro e il potere del mondo non valgono niente di fronte a una vita mai veramente vissuta, alla salute e all’amore. Non mi è mai stato simpatico, ma il motivo per cui finora non mi sono espresso è stato un sentimento di pietà per un uomo, a prescindere dalle percentuali di nero e bianco che si portava addosso e che abbiamo tutti.
Ne circolasse di più di pietà sui social di questi tempi, forse vivremmo in un mondo meno arrabbiato, meno ostile e soprattutto più libero.