È una fredda mattina di un fine maggio autunnale. Suona la sveglia, come ogni giorno della settimana. Apro la finestra. Fuori piove. Fisso il mondo là fuori. Non riesco a focalizzare i pensieri, non riesco a separare le mie sensazioni: un misto di delusione, rabbia, frustrazione, impotenza, determinazione. Non una parola riesce ad uscire dalle mie labbra. Fin quando ho deciso di aprire il mio PC e scrivere queste riflessioni, a seguito dei risultati delle elezioni Europee 2019.
So di non essere il solo a sentirmi cosi. E qui mi sorge la prima domanda: com’è possibile che non riusciamo a farci sentire, tutti insieme? Che fare?
Guardando la pioggia cadere sulle strade e sulle macchine che passano, vengo assalito da una forte malinconia. Dov’è finita l’Italia, Paese del Rinascimento, di Dante, di Marco Polo, di Beccaria? E qui mi sorge la seconda considerazione: è il momento di dire basta. Basta dare le pagelle degli elettori, come se fossimo a scuola. Non è questo il modo di rialzarsi. C’è un problema di cultura in Italia? Vero. Ma non è elevandosi su un piedistallo che si migliora la situazione. Anche chi è vittima di fake news, chi non è in grado di informarsi in maniera adeguata, per i più svariati motivi, ha la sua percezione della realtà, la sua sensibilità, che è tanto ‘vera’ socialmente quanto quella di ognuno di noi. Il vero problema è che questa sensibilità non si riesce a intercettarla e a interpretarla.
In Europa prendono, divorano terreno i nazionalismi e i populismi. E qui mi sorge la terza domanda: c’è un problema con questa Europa, così com’è stata finora? Si, decisamente. E lo abbiamo sempre detto ed affermato con forza. Ma consegnarla in mano a nazionalisti non può far altro che peggiorare le cose. E per due motivi. Il primo: perché un Europa a maggioranza nazionalista è una contraddizione in termini, e ciò che scaturisce da una contraddizione non può portare a nulla di buono. Il secondo: perché nei programmi della maggioranza dei tali partiti, appena resisi della loro popolarità, è scomparsa la pretesa di uscire dall’Europa, caposaldo delle loro campagne precedenti. Ciò dimostra una cosa: che per loro, ormai certi di vincere, l’Europa non era più un ostacolo, ma un mezzo di potere ulteriore e più ‘alto’ in grado.
La Lega di Salvini ha costruito il suo consenso su sicurezza e immigrazione, due capisaldi della destra storica e, ancor di più, argomenti funzionali al capitalismo. Eppure, nonostante tutti i proclami, assurdi ed esagerati a fronte di un’emergenza che nei fatti non esiste, smentita da qualunque numero possibile, Salvini non ha, non hai mai avuto e non avrà mai intenzione di ridurre a zero l’immigrazione. Sarebbe contro il suo interesse: la sua politica e il suo consenso, si costruiscono sui migranti e se questi non ci fossero, tutto il suo consenso scoppierebbe come una bolla di sapone.
E qui mi sorge la mia quarta e ultima domanda: come è possibile affrontare tutto questo? Sono persuaso che bisogna cambiare punto di vista. Che ci sia un’emergenza razzismo è evidente. Ma bisogna fare attenzione. Perché si tratta di un razzismo di tipo nuovo. Sicuramente esiste ancora una componente di razzismo di tipo ‘vecchio’, basato sulla convinzione dell’inferiorità delle altre ‘razze’, un razzismo di tipo ‘biologico’ per intenderci. Ma per la maggior parte, si tratta invece di un razzismo di tipo ‘sociale’: non è questione di razza (o almeno, non prevalentemente), di essere superiori o altro. Si tratta, invece, di classificare come devianze i comportamenti diversi, di provare fastidio se qualcun altro, che non sia parte di noi, ottiene i nostri stessi diritti sociali o ne avanza solamente la pretesa. Ecco, continuare a lottare contro un razzismo di tipo ‘vecchio’ non può che essere controproducente. Quello che bisogna fare è trovare le contromisure a questo nuovo razzismo sociale, che per molti versi è decisamente più aggressivo.
Mi rendo contro di essere passato da un argomento ad un altro, ma perdonate l’intemperanza di questo giovane che, stufo di attenderlo alla finestra, il sole lo va a cercare per strada, senza mai perdere la speranza e la voglia di lottare.