A oltre una settimana dal voto britannico che ha consegnato a Boris Johnson una maggioranza schiacciante, possiamo tirare le somme delle ragioni della sconfitta di Jeremy Corbyn. Il provincialismo italiano ha derubricato tutto a “era troppo estremista“, i renziani hanno stappato champagne insieme alle destre e dopo 24 ore si notava solo la comica dichiarazione di Nicola Zingaretti circa la “fragilità della proposta delle sinistra” (della serie: il bue che dice cornuto all’asino).
I risultati
Facciamo parlare anzitutto i numeri: in due anni il Labour è passato dal 40 al 32,2%, che in termini di seggi si sono tradotti in una perdita di 59 deputati, per un totale di 203 seggi conquistati. Ha tenuto nelle grandi città come Londra, ha perso nelle sue roccaforti rosse dove la stragrande maggioranza del suo elettorato storico aveva votato a favore della Brexit. A livello di voti assoluti, parliamo di 10,295,907 di elettori a livello nazionale (contro i 12,877,918 del 2017).
Il grande errore di Corbyn: l’indecisione sulla Brexit
L’elettorato tradizionale Labour non è impazzito: semplicemente era diviso sul tema, con una maggioranza nelle “regioni rosse” che era a favore della Brexit. Non assumere una posizione chiara e dichiarare solo in campagna elettorale di essere a favore di un secondo referendum successivo alle elezioni, quando semmai avrebbe dovuto svolgersi prima, è stato il grande errore strategico del leader laburista.
L’uomo che aveva fatto delle scelte di campo chiare e nette il suo punto di forza, sul tema principale delle elezioni è rimasto ambiguo: col risultato di inimicarsi entrambe le fazioni pro e contro la Brexit del proprio elettorato storico, facendo vincere i Conservatori per poche migliaia di voti nei seggi a tradizione laburista. E questo è stato il secondo errore di Corbyn: aver accettato le elezioni anticipate al 12 dicembre (non accadeva dal 1923 che si votasse a dicembre) il cui tema principale era la Brexit pensando di poter condurre una campagna elettorale sui temi sociali, come aveva fatto due anni fa e che lo aveva portato a un passo dall’arrivare al n.10 di Downing Street.
I giovani stanno con Corbyn
Quello che certifica il voto invece è che il 56% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 54% tra i 25 e i 29 ha scelto il partito laburista, mentre man mano che l’età si alzava crescevano i consensi per i conservatori. Stesso dicasi per il livello di istruzione: solo il 25% di chi ha un livello di istruzione basso ha votato laburista, contro il 58% dei conservatori, percentuale che arriva al 43% per chi ha una laurea o un phd (contro il 29% dei conservatori). E come dare loro torto, viste le oramai evidenti distorsioni del sistema scolastico e di quello lavorativo per quelli della mia generazione nel Regno Unito.
A confermare la tesi dell’errore strategico di Corbyn, da lui ammesso il giorno dopo le elezioni tra l’altro, vi è anche la trasversalità del voto ai Conservatori su tutte le fasce sociali: gli elettori non hanno cambiato voto perché Corbyn era troppo estremista, bensì perché non ha mai preso una posizione netta sul tema Brexit una volta alla guida del Labour. Viceversa i liberal-democratici non avrebbero avuto un risultato elettorale ancora più devastante di quello laburista e Johnson, il cui unico slogan era “Get Brexit Done“, non avrebbe ottenuto una maggioranza così schiacciante.
Il ritorno a un’identità chiara
E qui veniamo alle ragioni per cui, nonostante tutto, bisogna ringraziare Corbyn. Al di là dei suoi gravi errori strategici, ha ridato un orizzonte ideale ben preciso al partito laburista che con Blair era diventato guerrafondaio e sdraiato sulle elite economico-finanziarie della city di Londra. Non solo: ha dato una lezione di stile anche alla Sinistra italiana.
Il giorno dopo non ha dato la colpa agli avversari interni, non ha evocato complotti (benché l’ostilità generale dei grandi giornali fosse palese, a partire dalla campagna sul presunto antisemitismo del Labour), si è assunto per intero la responsabilità della sconfitta, pur senza scappare e rimanendo a guidare il partito per garantire una guida nei mesi dell’inevitabile Brexit.
Quanto alle sue proposte economiche giudicate “estremiste“: far pagare ad Amazon e alle grandi compagnie le tasse sui profitti che fanno in UK lo è? Volere l’istruzione gratuita per tutti, anziché indebitarsi con i famosi “prestiti d’onore” (che di onorevole hanno ben poco) per conseguire la laurea, piuttosto che non voler svendere il servizio sanitario nazionale sarebbe estremista? Nazionalizzare di nuovo le ferrovie a fronte del fallimento del libero mercato che ha aumentato i prezzi a livelli insostenibili e non fa investimenti da anni è estremista? No, sarebbero le basi di una moderna politica di Sinistra.
C’è spazio per il socialismo? Sì.
Di questi tempi, mi vengono in mente prepotentemente due pensieri, uno è di Norberto Bobbio, che all’indomani della caduta del muro di Berlino, di fronte ai liberisti che esultavano e ai comunisti che si disfavano velocemente della propria storia, ammoniva: “O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?”
L’altro, precedente, è di Enrico Berlinguer, che nella famosa intervista a Ferdinando Adornato, sosteneva:
Quali furono infatti gli obiettivi per cui è sorto il movimento per il socialismo? L’obiettivo del superamento di ogni forma di sfruttamento e di oppressione dell’uomo sull’uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull’altra, del sesso maschile su quello femminile, di una nazione su altre nazioni. E poi: la pace fra i popoli, il progressivo avvicinamento fra governanti e governati, la fine di ogni discriminazione nell’accesso al sapere e alla cultura. Ebbene, se guardiamo alla realtà del mondo d’oggi chi potrebbe dire che questi obiettivi non sono più validi? Tante incrostazioni ideologiche (anche proprie del marxismo) noi le abbiamo superate. Ma i motivi, le ragioni profonde della nostra esistenza quelle no, quelle ci sono sempre e ci inducono ad una sempre più incisiva azione in Italia e nel mondo.
All’indomani della sconfitta, un giornalista gli ha chiesto: questa è la fine del corbynismo? Il leader laburista ha risposto: “Non è mai esistito il corbynismo, esiste il socialismo e finché la gente verrà sfruttata e continueranno a esserci ingiustizie nella società, ci sarà sempre spazio per esso.“
Ecco, di fronte al vuoto cosmico della Sinistra italiana, che se le sogna le affermazioni elettorali di Corbyn, sia nelle vittorie che nelle sconfitte, il lavoro fatto dal leader laburista è stato fondamentale anzitutto per far riavvicinare centinaia di migliaia di giovani alla politica attiva dopo decenni di sfiducia, ma soprattutto ha ricostruito l’alfabeto ideale della sinistra britannica che era vissuta dopo Blair e Brown come elitaria e distante dai veri problemi delle persone. E potenzialmente ha creato le basi per una grande discussione a livello europeo in seno al PSE, dove oramai, a partire dalla socialdemocrazia tedesca, si naviga a vista di fronte alla minaccia neofascista e sovranista.
Non è riuscito a fare propria la sfida di una riforma dell’Unione Europea in senso opposto a quella che sta alimentando i nazionalismi e le nuove destre, e questo sicuramente è stato un limite. Ha fatto però tanto, in condizioni oggettivamente non facili.
Per questo, nonostante tutto, mi sento di dire: “Grazie, Jeremy“.