Se ne andò in punta di piedi, senza clamori. Non volle funerali di Stato, lui che ne era stato ai vertici, diventando il Presidente più amato della storia repubblicana, inquilino del Quirinale dal 1978 al 1985 solo durante il giorno, perché la sera tornava a dormire a casa sua. I politologi commentavano il suo protagonismo con l’espressione “Repubblica pertiniana“, che sicuramente era qualcosa di meglio di quella della P2, del terrorismo rosso e nero, della mafia e del verminaio venuto fuori con Tangentopoli.
Quando, da esiliato in Francia, spese tutti i soldi guadagnati dalla vendita dei terreni ereditati dal padre per costruire una stazione radiofonica antifascista, all’arresto il gendarme francese gli chiese perché non si fosse dato alla bella vita parigina: “Lei non sa cosa significa lottare per un ideale“. Rischiò la fucilazione e fu lui ad annunciare la Liberazione a Milano. Padre costituente, non ha mai avuto incarichi di primo piano nel suo partito, ma fu uomo delle Istituzioni.
Nelle scorse settimane abbiamo assistito a una follia pura, con il tentativo, fortunatamente respinto nella società italiana, di riabilitare un politico corrotto morto latitante come emblema del socialismo italiano, del socialismo moderno. Lo stesso che pensò bene di protestare, insieme a Claudio Martelli, per aver riportato Enrico Berlinguer a Roma con l’aereo presidenziale dopo la sua morte a Padova (suscitando una reazione divenuta celebre, ripresa di recente da Andrea Scanzi da questo blog).
Ecco, non si può non citare a tal proposito l’intervista rilasciata a Nantas Salvalaggio il 10 marzo 1974, sulla Domenica del Corriere, che già diceva tutto:
Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo. L’opinione pubblica non lo tollererebbe. […]
Nel mio partito mi accusano di non avere souplesse. Dicono che un partito moderno si deve ‘adeguare’. Ma adeguare a che cosa, santa Madonna? Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo. Meglio allora il partito non adeguato e poco moderno. Meglio il nostro vecchio partito clandestino, senza sedi al neon, senza segretarie dalle gambe lunghe e dalle unghie ultralaccate… Dobbiamo tagliarci il bubbone da soli e subito. Non basta il borotalco a guarire una piaga. Ci sono i ladri, gli imbroglioni? Bene, facciamo i nomi e affidiamoli al magistrato.
Il bubbone da soli, l’autoriforma della politica che servirebbe ancora oggi come il pane, dato che oramai ci si nasconde sempre dietro quello che Paolo Borsellino chiamava “lo schermo della sentenza” per evitare di affrontare la questione morale (che si chiama così proprio perché riguarda politici ed elettori, non giudici e avvocati) e fare pulizia al proprio interno.
E non si può fare a meno di ricordare anche quando, sempre nel 1974, minacciò le dimissioni perché i deputati della Camera provarono ad aumentarsi l’indennità: “Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall’inflazione… voi date quest’esempio d’insensibilità? Io deploro l’iniziativa. Entro un’ora potete eleggere un altro presidente della Camera. Siete 630, ne trovate subito 640 che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo…”. E alla fine l’aumento non passò.
Nel suo discorso di insediamento a Presidente della Repubblica, si spinse ancora più in là, dicendo semplici parole ma che ancora oggi suonano rivoluzionarie:
“Occorre che la Repubblica sia giusta e incorrotta, forte e umana: forte con tutti i colpevoli e umana con i deboli e i diseredati. Così la vollero coloro che la conquistarono dopo 20 anni di lotta contro il Fascismo e 2 anni di guerra di Liberazione, e se così sarà oggi, ogni cittadino sarà pronta a difenderla.
Dei tanti episodi, vale la pena citare quello raccontato da Antonio Ghirelli a “La Storia Siamo Noi”:
“Ricordo quando col Presidente andammo ai funerali di Guido Rossa, erano i mesi più brutti degli anni di Piombo. Terminati i funerali volle incontrare gli operai della FIOM (il sindacato di Guido Rossa), che allora era il più estremista, cercai di persuaderlo ma come sempre fu inutile. Andammo in un capannone alla periferia di Genova c’erano non meno di 300 operai, lui esordì così “Io oggi non sono qua come Presidente della Repubblica, ma come il compagno Sandro Pertini, io le Brigate Rosse le ho viste in faccia durante la Resistenza, quelle erano le vere Brigate Rosse! quelli di oggi sono solo dei codardi! ricordatevelo!” appena finì venne sommerso dagli applausi.”
E quando, di fronte a milioni di italiani, nel discorso di fine anno del ’79, dice: “Vi è un proverbio che si usa dire: che la moglie di Cesare non deve essere sospettata. Ma prima di tutto è Cesare che non deve essere sospettato. […] E ripeto quello che ho detto altre volte: qui le solidarietà personali, le solidarietà di partito, diventano complicità.”, riferendosi al mare di scandali che già sommergeva la Prima Repubblica.
E poi ci fu quell’ultimo toccante invito ai giovani da Presidente, nel 1984:
“Voi giovani siete la futura classe dirigente del nostro paese, dovete quindi prepararvi per assolvere degnamente questo nobilissimo compito. Ebbene io, finché vita sarà in me, sarò al vostro fianco, nelle vostre lotte, giovani che mi ascoltate. Lotterò sempre con voi per la pace nel mondo, per la libertà e per la giustizia sociale.”
Gli stessi giovani a cui dedicò nel discorso del 31 dicembre 1982 un passaggio divenuto celebre: «I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. È con questo animo quindi, giovani, che mi rivolgo a voi: non armate la vostra mano. Armate il vostro animo»
Ecco, questo sarebbe il modo migliore per ricordare Sandro Pertini: difendere, da cittadini, la Repubblica e la democrazia. Come ribadì in un appello quando oramai era un semplice senatore a vita:
Ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vogliono due qualità a mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio. L’onestà, l’onestà, l’onestà. E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto. La politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c’è qualche scandalo; se c’è qualcuno che dà scandalo; se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato.”
In un discorso di fine anno, era il 31 dicembre 1982, disse:
«I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. È con questo animo quindi, giovani, che mi rivolgo a voi: non armate la vostra mano. Armate il vostro animo»
Sandro Pertini era anzitutto un esempio di come la Politica sia stata esercitata in maniera diversa e totalmente disinteressata: e se è accaduto in passato, non c’è alcuna ragione perché non possa tornare ad esserlo. Non solo, è l’esempio di come la parola Sinistra un senso ce l’abbia per davvero (purché smettiamo di confondere il vuoto di chi si è definito di Sinistra negli ultimi 20 anni con la pienezza di ideali e di significato che sta ancora dietro quella parola).
Quanto sarebbe rivoluzionario adottare oggi alla base della nostra azione politica a Sinistra quella verità assoluta che “non esiste giustizia sociale senza libertà”, ma soprattutto che non esiste libertà senza giustizia sociale. Già questo, di per sé, sarebbe un buon modo per lasciar da parte la retorica, evitando di ricordare Sandro Pertini solo oggi, ma facendo nostro il suo esempio e la sua tensione morale e ideale e portandola avanti nella nostra routine quotidiana tutti i giorni. Perché è dando l’esempio che si può sperare di cambiare le cose.