Alessandro Barbero è uno degli storici italiani più popolari. Fino a settembre era circondato da un’aura divina che lo poneva al di sopra di ogni critica, merito soprattutto dei social, che non frequenta ma di cui era diventato il paladino per le sue conferenze “anti-social” in cui smontava gran parte delle argomentazioni del revisionismo bipartisan su cui è fondata la Seconda Repubblica.
Barbero non ha mai nascosto di essere uno storico marxista e di aver avuto la tessera del Partito Comunista Italiano. Alla classe dominante (leggi: i padroni) andava però bene: lo storico aveva una sua nicchia di fan irriducibili, stava in televisione su Rai Storia, aveva una sua notorietà, ma non aveva quella diffusione da poter essere considerato un pericolo.
E poi vennero le Foibe
Barbero non ha mai taciuto l’orrenda strumentalizzazione sulle foibe. Ma, ripeto, i suoi video circolavano in una cerchia relativamente colta e ristretta di persone. A renderlo veramente famoso è stato negli ultimi anni quello stesso sistema mediatico che oggi punta a distruggerlo: un professore di storia, nel paese senza memoria, che non sta sui social e le cui conferenze di ore caricate su YouTube hanno centinaia di migliaia di visualizzazioni è certamente un fenomeno mediatico di rilievo.
E quindi via a chi intervistava Barbero, sia per ragioni di auditel in televisione, sia per ragioni di click sui giornali online.
Poi Barbero ha fatto l’errore lo scorso settembre di schierarsi a favore di Tomaso Montanari, lo storico dell’arte da qualche settimana rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Nella polemica sulle foibe, ha spiegato in un’intervista perché avesse ragione lo storico dell’arte e non i neofascisti italiani e i democristiani post-comunisti dello schieramento “progressista”.
Caccia al Barbero Rosso
Da quel momento ogni cosa detta dal professore di storia un tempo elevato al di sopra di ogni critica è stata ricercata appositamente per avere argomenti con i quali distruggerne la credibilità: dieci anni fa, quando Silvio Berlusconi spadroneggiava in Italia, si parlava di macchina del fango. Ecco, mentre dieci anni fa a scatenarla erano solo i giornali di destra, contro il professore di storia ora ci si mettono anche quelli “progressisti” (si fa per dire).
Oramai è un mese e mezzo che Barbero è sul banco degli imputati: dal green pass fino a quella dell’altro giorno sulle donne, è uno stillicidio di accuse, indignazione a comando e tentativi di dimostrare l’inaffidabilità intellettuale e culturale dello storico torinese.
Barbero e le donne
Ma cosa ha detto davvero Barbero di così sconvolgente? L’intervista che ha rilasciato alla Stampa ha un titolo da clickbait, ma per leggerla bisogna essere abbonati. Quindi i più si sono formati sugli articoli scritti da altri giornali sull’intervista, che sono tutti costruiti ad hoc per generare indignazione e aumentare il numero di click, e tralasciano il contesto dell’intervista. Qual è il contesto? Barbero terrà nuovamente una serie di lezioni al grattacielo Intesa Sanpaolo a Torino intitolato “Donne nella storia: il coraggio di rompere le regole”.
Non è la prima volta. Barbero è uno dei pochi storici maschi ad aver sfruttato la sua notorietà per dedicare lezioni a figure femminili, esaltandone il ruolo nella storia. Più volte si è rammaricato pubblicamente del fatto che nella storia scritta dagli uomini le donne vengono quasi cancellate. A titolo di esempio, ricordo le conferenze “Come pensava una donna nel medioevo? Caterina da Siena“, “Giovanna d’Arco e il coraggio di fare ciò che alle donne è vietato” o “Ogni epoca ha le sue streghe“.
La maggioranza di quelli che hanno commentato “la visione sessista di Barbero” si è basato su questo estratto, in risposta alla domanda “Barbero, arrivando a oggi, come mai, secondo lei, le donne faticano tanto non solo ad arrivare al potere, ma anche ad avere pari retribuzione o fare carriera?“:
Premesso che io sono uno storico e che quindi il mio compito è quello di indagare il passato e non il presente o futuro, posso rispondere da cittadino che si interroga sul tema. Di fronte all’enorme cambiamento di costume degli ultimi cinquant’anni, viene da chiedersi come mai non si sia più avanti in questa direzione. Ci sono donne chirurgo, altre ingegnere e via citando, ma a livello generale, siamo lontani da un’effettiva parità in campo professionale. Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pensa di chiedersi se ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. E’ possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che servono ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze fra i sessi. E c’è chi dice: “Se più donne facessero politica, la politica sarebbe migliore“. Ecco, secondo me, proprio per questa diversità fra i due generi.
Differenze strutturali? Esistono
Già dall’incipit della domanda Barbero dichiara sin da subito che non sta esprimendo una posizione da esperto, ma da cittadino. La sua però è una formazione marxista e quindi usa l’espressione “differenze strutturali“, individuando nei caratteri di “aggressività, spavalderia e sicurezza di sé” le ragioni del mancato successo delle donne nell’attuale società.
Qual è la colpa di Barbero? Tra i commenti che ho letto in rete è il non aver sottolineato il ruolo del patriarcato nella mancata socializzazione a quei valori sin dall’infanzia. Ma Barbero è uno storico marxista, quindi è anti-capitalista, si è formato nel PCI di Enrico Berlinguer, primo grande leader politico a riconoscere il ruolo fondamentale della donna nella società, e quindi dà per scontato che quei caratteri che determinano il successo nella società capitalistica contemporanea siano negativi, tant’è che lo dice nella risposta successiva. Per altro, si tratta di un’intervista, in cui dà un’opinione da cittadino, non un articolo pubblicato su rivista scientifica.
In più, parla esplicitamente di differenze rimarcate “nella vita quotidiana“, cioè nell’opinione pubblica, quella formata dalla classe dominante maschile attraverso anche il giornale cui sta rendendo l’intervista. E chiude quella risposta assegnando una qualità “civilizzatrice” positiva alle donne, nel momento in cui il fatto di non essere educate sin dalla tenera età ai valori del maschio dominante renderebbe la politica migliore, se ve ne fossero di più elette nelle istituzioni.
Per chiunque abbia letto qualcosa di Marx e del filone neo-marxista del secondo dopoguerra, sa benissimo cosa intenda Barbero per “struttura” e “strutturale“. E per un qualsiasi sociologo, che a differenza dello storico si occupa del presente, è assolutamente normale rilevare delle differenze strutturali tra uomo e donna in questa società, nel momento in cui la “struttura” di una persona (o come direbbe Pierre Bourdieu, l’habitus) è plasmata dalla frazione dominante della classe dominante e fa sì che determinate logiche di dominio (leggi, differenze strutturali) vengano interiorizzate e viste quindi come normali “nella vita quotidiana“.
Tant’è che Barbero, alla domanda successiva (“Non pensa che un mondo storicamente dominato dai maschi – con le caratteristiche di cui parla – opponga resistenza all’ascesa delle donne e tenda ancora a escluderle dai ruoli di comando, a ostacolarle in modo più o meno esplicito?“), risponde: “Se così è, allora è solo questione di tempo. Basterà allevare ancora qualche generazione di giovani consapevoli e la situazione cambierà“.
Se il problema infatti è che sin dall’infanzia veniamo socializzati a determinati valori, a partire dai regali che riceviamo e da come dobbiamo vestirci, il cambiamento culturale non si realizza in pochi mesi, ma servono decenni di socializzazione a un habitus che esprima una cultura e un modo di vedere il mondo diversi. Barbero non parla solo di “uomini”, come viene sintetizzato nel sottotitolo: parla di giovani, quindi anche di donne, che vanno allevate.
Da sociologo che si è formato su Pierre Bourdieu, consiglio ai più questo articolo della professoressa Gabriella Paolucci, per approfondire il tema. E, senza rimandare alla sterminata opera di Bourdieu e dei suoi seguaci, consiglio un suo libro per me illuminante, “Il dominio maschile“, edito da Feltrinelli (qui anche una recensione d’epoca su Repubblica, “Bourdieu e l’eterno potere dei maschi“).
Quindi? Barbero non è sessista
Alessandro Barbero è quindi tutto fuorché sessista. Non è certamente un esperto di questi temi, e infatti lo dichiara. Non dà una risposta, ma si domanda a sua volta se il mancato successo delle donne in una società maschilista non sia determinata dal non essere state socializzate ai valori necessari per arrivare al potere definiti dalla classe dominante maschile (il patriarcato). Valori che lui considera negativi, tant’è che ritiene che più donne in politica sarebbe un bene.
Francamente dispiace che donne che lottano per la parità di genere si siano lanciate all’inseguimento della solita “lepre” liberata dal sistema mediatico dominante per sviare l’attenzione dai veri problemi, che non sono certamente le parole di Barbero. E lo dico ben consapevole del rischio di essere accusato di mansplaining dalla frangia più oltranzista del movimento femminista.
Non ho alcuna intenzione di spiegare nulla alle donne. Mi sono però stancato dell’indignazione un tanto al chilo nei confronti di uno storico che non è perfetto, che non è la Bibbia, ma che ha il merito di permettere a tanti di approfondire svariati temi in maniera seria. Anche su un tema poco pubblicizzato come la storia delle donne, cancellata dai libri di testo e dalle università.
Ecco, se dobbiamo fare una polemica, partiamo da qui. Barbero non è la Madonna, ma nemmeno un nemico da abbattere.