Cani e padroni. Sulle parole del Ministro Roccella

Ci sono scene che non possono essere dimenticate. A volte le cose più sorprendentemente atroci sono semplici, fatte di elementi e circostanze che, di straordinario, non hanno nulla. Una strada che porta all’autostrada, come ce ne sono tante. Una stradina di campagna laterale, come ce ne sono tante. Una giornata normale, come ce ne sono tante. E una macchina, con dentro delle persone, come ce ne sono tante. Purtroppo, in questo caso.

È una domenica mattina di un week-end a ridosso delle ferie estive. Sto guidando per andare a prendere l’autostrada. Da una stradina di campagna laterale si immette sulla strada principale, davanti a me, una macchina. Nulla di strano, fin qui. Dopo nemmeno cinque secondi, da quella stessa strada di campagna laterale sbuca un cane. Inizia a correre, anzi, a rincorrere la macchina che si era immessa poco prima. E corre, corre, per non so quanto tempo. Io, dalla mia auto, assisto a tutto questo.

Il cane continua a correre disperato, e si legge nella sua disperazione che non può credere che quella macchina li davanti a lui, che non riesce a raggiungere nonostante tutti i suoi sforzi, lo stia davvero lasciando li.

Il cane corre. Corre. Ma non può tenere il passo di un auto, una mattina di inizio agosto, sotto il sole cocente. Il cane si stanca e si inoltra nei campi lì accanto.

In quel momento, ho sentito volar via il mio cuore. Accanto a me, mia moglie è invasa dalle lacrime. L’indecisione è forte: inseguo la macchina o cerco il cane. Ancora oggi non so se ho preso la decisione giusta. Faccio inversione al primo incrocio utile e torno lì dove il cane, stanco, si è inoltrato tra le campagne e i boschi. Lo cerchiamo, giriamo tutte le strade possibili. Non lo troviamo.

È successo tutto così in fretta che non ci rendiamo conto. Non abbiamo nemmeno avuto la prontezza di segnare la targa, sia perché presi dalla tragedia che stava vivendo il cane, sia perché il tutto è davvero durato poco, anche se la drammaticità della scena, passata attraverso le emozioni, la rende più lunga di una vita.

Avrei potuto benissimo risparmiarvi tutte queste parole. Eppure, nulla insegna di più di un esempio vissuto. Perché in certe situazioni, le parole, quelle teoriche, belle, eleganti, non servono a nulla. Di parole, ne servono davvero poche. Perché c’è ancora tanta strada da fare, sulla strada del rispetto e della sensibilizzazione verso gli animali. C’è ancora tanta strada da fare contro la crudeltà, contro la cultura dell’abbandono. Ci vorrebbero pene più severe, molto più severe, per chi commette abusi sugli animali, o li abbandona. Abbiamo una legislazione che è indietro anni luce, rispetto a quanto converrebbe ad un Paese civile.

Ed è proprio per questo che dichiarazioni come quelle della ministra Roccella sono inammissibili, perché si inseriscono in un substrato sociale ancora fortemente instabile e fragile.

Affermazioni come quelle della ministra non servono minimamente a legittimare la famiglia (anche ammesso che un discorso del genere possa farlo. E no, non riuscirebbe a farlo), quanto piuttosto sortiscono l’effetto di delegittimare la condizione degli animali nella nostra società, contribuendo ad allontanare la percezione, assolutamente necessaria ed eticamente reale, dei diritti che i nostri animali hanno (o dovrebbero avere in un Paese civile).

Tutto questo senza dover entrare minimamente nel merito di quanto detto dalla ministra, dato che, per farlo, si entrerebbe nella sfera personale di chi, ad esempio, figli non può averne, o non vuole averne. Già questo basterebbe a rendere quantomeno indelicato il suo intervento. No, non è necessario entrare nel merito, perché a prescindere da ciò che ha detto, dal fatto che possa o no avere cani e gatti che sicuramente ama, come ha dichiarato, è più importante chiedersi se fosse il caso di dirlo, alla luce delle suddette considerazioni.

Ecco, al netto di ogni strumentalizzazione che è stata fatta, il punto è proprio questo. Non era il caso.

Il nostro è un Paese in cui chiedere scusa e ammettere di aver sbagliato è considerato un atto di debolezza; quindi, non nutro molte speranze in tal senso. Di speranza ne ho solo una. Da quella mattina di inizio agosto. Che quel cane, dopo aver vagato tra i campi, abbia trovato una famiglia che lo ha accolto e ora lo sta amando.